Alla riscoperta di due classici Adelphi: La Sanfelice (Dumas), La pelle (Malaparte)

Titolo: La Sanfelice
Autore: Alexandre Dumas
Editore: Adelphi
Pagine: 1754
Anno di pubblicazione: 1999
Prezzo copertina: 28,00 €


La Sanfelice, estremo omaggio di Alexandre Dumas (1802-1870) alla città di Napoli (dove lo scrittore, arrivato al seguito di Garibaldi, trascorse più di tre anni), farà la gioia di tutti quei lettori che ricordano come momenti di felicità assoluta certi pomeriggi della loro infanzia in compagnia di un volume dei Tre moschettieri o del Conte di Montecristo. Opera colossale – il più grande romanzo mai scritto su Napoli e sulla effimera rivoluzione giacobina di cui proprio nel 1999 ricorre il bicentenario –, La Sanfelice è densissima di intrighi avviluppati e sciolti con straordinario senso della suspense, e di personaggi, luoghi ed episodi indimenticabili: la perfida Maria Carolina e re Ferdinando, l’inetto Borbone suo consorte;
la lasciva Lady Hamilton, amante di Lord Nelson e della stessa regina, e i patrioti della Repubblica partenopea (Eleonora Pimentel Fonseca, Caracciolo, Pagano, Carafa), rappresentati con le loro passioni, l’allegria, la fantasia, le avventure, gli studi; Luisa, la dolente e romanticissima protagonista del romanzo che sembra uscita da un melodramma belliniano, e Salvato, il suo ardente innamorato; il generale Championnet, portatore delle idee rivoluzionarie, e i «comici», il repubblicano Michele il Pazzo e il sanfedista fra Pacifico; e poi la Corte e il popolo, i cardinali e i lazzaroni, i pescatori e i briganti; e le battaglie, descritte con incredibile capacità evocativa, le stragi e gli orrori e i fiumi di sangue versati in nome della Santa Fede, il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro, le tempeste marine, il brulichio esuberante delle strade napoletane, il fasto dei palazzi, la sensualità crepuscolare delle chiese, le fortezze, i passaggi segreti, le fiamme del Vesuvio, la reggia di Caserta, gli scavi di Pompei... «E in avvenire, quando qualcuno chiederà: “Chi era la Sanfelice?”, aprirà il mio libro ... la storia sarà dimenticata, e il romanzo sarà diventato la storia» (Alexandre Dumas).

Titolo: La pelle
Autore: Curzio Malaparte
Editore: Adelphi
Pagine: 379
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo copertina: 20,00 €


Una terribile peste dilaga a Napoli dal giorno in cui, nell’ottobre del 1943, gli eserciti alleati vi sono entrati come liberatori: una peste che corrompe non il corpo ma l’anima, spingendo le donne a vendersi e gli uomini a calpestare il rispetto di sé. Trasformata in un inferno di abiezione, la città offre visioni di un osceno, straziante orrore: la ragazza che in un tugurio, aprendo «lentamente la rosea e nera tenaglia delle gambe», lascia che i soldati, per un dollaro, verifichino la sua verginità; le «parrucche» bionde o ruggine o tizianesche di cui donne con i capelli ossigenati e la pelle bianca di cipria si coprono il pube, perché «Negroes like blondes»; i bambini seminudi e pieni di terrore che megere dal viso incrostato di belletto vendono ai soldati marocchini, dimentiche del fatto che a Napoli i bambini sono la sola cosa sacra. La peste – è questa l’indicibile verità – è nella mano pietosa e fraterna dei liberatori, nella loro incapacità di scorgere le forze misteriose e oscure che a Napoli governano gli uomini e i fatti della vita, nella loro convinzione che un popolo vinto non possa che essere un popolo di colpevoli. Null’altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l’anima, come un tempo, o l’onore, la libertà, la giustizia, ma la «schifosa pelle». E, forse, la pietà: quella che in uno dei più bei capitoli di questo insostenibile e splendido romanzo – uno dei pochi che negli anni successivi alla guerra abbiano lasciato un solco indelebile nel mondo intero – spinge Consuelo Caracciolo a denudarsi per rivestire del suo abito di raso, delle calze, degli scarpini di seta la giovane del Pallonetto morta in un bombardamento, trasformandola in Principessa delle Fate o in una statua della Madonna. Come ha scritto Milan Kundera, nella Pelle Malaparte «con le sue parole fa male a se stesso e agli altri; chi parla è un uomo che soffre. Non uno scrittore impegnato. Un poeta».

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