LA GOVERNANTE al Teatro Quirino (Roma) dal 15 al 28 aprile

Teatro Stabile di Catania
LA GOVERNANTE 
di Vitaliano Brancati

regia Maurizio Scaparro
scene e costumi Santuzza Calì
musiche Pippo Russo
luci Franco Buzzanca
con Pippo Pattavina, Giovanna Di Rauso, Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano, Valeria Contadino, Veronica Gentili, Chiara Seminara

Era il 1952 quando La governante, interdetta alle scene dalla censura perché “contraria alla morale”, accese una querelle non solo letteraria e teatrale, ma civile e politica, nella quale è inevitabile cogliere nodi tuttora irrisolti in termini di intolleranza, negazione della libertà di espressione, perbenismo. Mali cronici di una società che annega nell’ipocrisia e si dibatte in un insanabile conflitto tra morale e pregiudizio. Nel sessantesimo anniversario della pubblicazione, lo Stabile di Catania propone un nuovo allestimento del capolavoro teatrale di Brancati, negli anni oggetto di interessanti messinscene fin dalla prima edizione italiana, possibile finalmente solo in seguito alla soppressione dell’attività censoria, nel 1965, undici anni dopo la morte dell’autore, che aveva concepito il testo per la moglie Anna Proclemer, da allora protagonista più volte di una “commedia” che fa ancora molto discutere per la spietata critica sociale. La regia della produzione etnea è affidata alla firma di Maurizio Scaparro, scene e costumi a quella altrettanto prestigiosa di Santuzza Calì. Pippo Russo sigla le musiche, Franco Buzzanca le luci. Protagonisti di spicco Pippo Pattavina e Giovanna Di Rauso nel ruolo del titolo. Con loro agisce un cast di qualità che annovera Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano, Valeria Contadino, Veronica Gentili, Chiara Seminara. L’azione si svolge a Roma, in una ricca casa borghese. La governante francese Caterina Leher, charmante, colta e di fede calvinista, instaura un rapporto dialettico con il siciliano Leopoldo Platania, cattolico e severo capofamiglia, illuso di essersi integrato nella capitale e invece incapace di accettare un’etica diversa da quella in cui è cresciuto. Entrambi si struggono dentro, per colpe segrete: la prima vive l’omosessualità come peccato, l’altro sconta l’intransigenza moralistica mostrata le alla figlia, morta suicida. Permissivo è invece Leopoldo nei confronti del figlio Enrico, che incarna il gallismo siculo ai danni della fragile moglie Elena. A frequentare assiduamente casa Platania è poi lo scrittore Alessandro Bonivaglia, intellettuale indolente ma lucido. Utilizzando un registro parodico e satirico che approda alla tragedia, l’autore descrive il clima oscurantista dell'Italia anni Cinquanta, laddove «l'odio per la cultura ha un ufficio apposito, che una volta si chiamava, con ironia involontaria, Ministero della Cultura Popolare e oggi Sottosegretariato per lo Spettacolo e le Informazioni». Il principale motivo del divieto censorio è da riscontrare in quest’esplicita accusa, mentre la materia “scabrosa” – l’omosessualità, per di più femminile, in quegli anni oggetto di riprovazione e tuttora non immune da discriminazioni – è descritta in maniera elegante, allusiva. Assai più scomodo è il j’accuse contro l’Ufficio Censura, retaggio del Ventennio, che la Repubblica manterrà fino agli anni Sessanta, avallando de iure il più retrivo conformismo culturale. Brancati si oppone fieramente, come aveva fatto con i censori fascisti che avevano messo all’indice sue creazioni quali Singolare avventura di viaggio o Don Giovanni involontario. Ed è lui stesso ad indicare la chiave di lettura di una pièce fortemente polemica come La governante: «La sostanza della vicenda – avverte nel pamphlet Ritorno alla censura – è più la calunnia che l’amore fra due donne». In effetti l’autore adotta un topos collaudato - l’inganno calunnioso - per mettere a nudo fondamentalismi etnici e religiosi, responsabilità individuali e collettive. E com’è nelle sue corde, inscrive l’acuta analisi nel procedere compulsivo di un’ossessione erotica, che svela ed esaspera dilemmi e prospettive: Un’impostazione coerente e ricorrente, da Don Giovanni in Sicilia a Il bell’Antonio a Paolo il caldo.

Note di regia
«Moralità? La moralità italiana consiste tutta nel censurare. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno tutto il giorno, e dicono.» Con le parole che Brancati fa dire allo scrittore Alessandro Bonivaglia ne La governante ho voluto iniziare queste mie brevi note sullo spettacolo.

Mi è stato particolarmente caro l’invito che il direttore Giuseppe Dipasquale mi ha rivolto, di tornare dopo molti anni allo Stabile di Catania, non solo per i ricordi di alcune belle avventure comuni, quanto perché ha un nuovo significato riproporre La governante in questi anni difficili che stiamo vivendo e in un teatro non casualmente legato allo scrittore siciliano. Ho potuto così riunire in questo palcoscenico attori “siciliani” e attori “italiani” come voleva Brancati. E ho avuto la buona sorte di trovare qui attori come Pippo Pattavina che unisce alla “sicilitudine” la forza della migliore tradizione teatrale italiana, e scoprire nuovi attori come Valeria Contadino e storici caratteri come Marcello Perracchio e con loro Giovanni Guardiano, Veronica Gentili e Chiara Seminara. E il piacere di ritrovarmi con due attori “italiani” che mi sono cari per recenti comuni esperienze teatrali come Giovanna Di Rauso e Max Malatesta. Così come mi fa piacere ricordare l’aiuto determinante della fantasia di Santuzza Calì, siciliana anche lei, per le scene e i costumi e il contributo tecnico e non solo di Franco Buzzanca e del suo staff, la complicità del mio aiuto Marcello Scuderi e, infine, l’approfondimento critico e la utile rilettura, oggi, del testo assieme con Antonia Brancati. Perché, com’è noto, la commedia allora fu clamorosamente bocciata dalla censura e vide solo dopo molti anni, nel 1965, la possibilità di apparire sui palcoscenici italiani (e Luchino Visconti suggeriva per questo di rappresentarla in quegli anni significativamente a Parigi).  Ricorda Anna Proclemer, prima interprete de La governante e moglie di Brancati, che: «Forse i censori si fermarono all’apparenza di certi fatti narrati e non seppero o non vollero vedere che si trattava di una delle commedie più morali del teatro moderno. Sì, perché io credo che sia “morale” rappresentare il caso di coscienza di un essere che si dibatte nelle spire di un vizio che “non vuole accettare”. Anche se tutto il mondo intorno, anche se la filosofia stessa sembrano disposti ad assolverla, lei dice no. Rifiuta di essere liberata dal rimorso. “Vogliono togliermi il rimorso, il mio rimorso, il solo bene che nella vita…”, dice ad un certo punto. Rifiuta di essere perdonata, rifiuta di essere assolta. Riproporre al pubblico questa Governante è un segno, forse, che i fatti privati, i sentimenti personali, contano alla fin fine più di ogni altra cosa. E che finché continueremo a fare con il teatro delle esercitazioni di stile, sia pure ad alto livello, saremo condannati all’insoddisfazione e alla crisi. O il teatro diventa specchio della nostra vita personale e segreta, ci rappresenta cioè a tutti i livelli, non soltanto a quelli intellettuali e ideologici, o saremo ridotti all’alienazione e alla nevrosi».  Ma alla censura di allora importava più che il tema dell’omosessualità femminile l’accusa pesante che le rivolgeva il personaggio dello scrittore, quella di essere spia della cultura conservatrice ipocrita e conformista dell’epoca. Ed è questo forse il lato più sorprendente e attuale del testo, oggi. Quello di una Sicilia e di una Italia dei nostri padri e dei nostri nonni (dimenticato forse), certo sconosciuto ai più giovani, ma di cui è facile scoprirne ancora le tracce nella società italiana (non soltanto siciliana) e che Brancati sottolinea: da tutti i tabù sessuali, al gallismo, ai falsi moralismi, alle divisioni forzatamente etniche, alle censure appunto, alle ipocrisie dei poteri “ufficiali” di tutti i tempi. In questi momenti, in cui l’Italia si interroga con grande preoccupazione sulla capacità o meno di resistere alle difficoltà economiche ma anche politiche, sociali, morali, culturali soprattutto, le parole di Brancati sembrano così sorprendentemente superare il confine ristretto degli anni Cinquanta, che pure le avevano espresse.«Spirito di sacrificio? No. Non ho visto mai un ricco italiano proporre una legge che riduca i suoi guadagni per aumentare il benessere del suo Paese», dice ancora Bonivaglia. Forse anche per questo, mi piace dedicare questa fatica non soltanto a un divertito e tenero “come eravamo”, ma al “come sapremo essere”. Ai giovani, quindi, e al teatro, se saprà, come nei secoli ha saputo fare, aiutarci a costruire nuovi sogni e nuove realtà.

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