La recensione di SAINT AMOUR, al cinema dal 27 ottobre

Recensione a cura di Eleonora Cocola

Tutti gli anni Jean (Gérard Depardieu), anziano allevatore di tori, partecipa al salone internazionale dell’agricoltura di Parigi. Quest’anno ci tiene in particolar modo, nella speranza che la vittoria dia un po' di motivazione a suo figlio Bruno (Benoît Poelvoorde) per prendere in mano le redini della fattoria di famiglia. Quest’ultimo, però, è interessato più che altro a
visitare gli stand dei produttori di vino, e, tra un bicchiere tracannato tutto d’un fiato e l’altro, abbordare goffamente quante più donne possibile. Quest’anno Jean decide di coinvolgere suo figlio in un vero tour enologico tra le regioni francesi. Mappa in mano, padre e figlio si mettono in viaggio guidati da Mike (Vincent Lacoste), un giovane taxista stravagante. Sui sedili posteriori del taxi, negli autogrill dove sostano, tra un bicchiere e l’altro degustato nelle varie località dove si fermano, cercano di riprendere le fila del loro rapporto fragile, fatto di silenzi, cose non dette, confessioni a bassa voce. Su di loro aleggia una perdita comune, moglie e madre morta che Jean teneramente cerca di tenere in vita riascoltandone la voce e lasciandole messaggi in segreteria come se potesse sentirlo.

Il loro viaggio ha un sapore picaresco, in perfetto equilibrio tra crudo realismo e momenti che sfiorano l’onirico. Il ritmo è quello incalzante della commedia; lo sguardo svela, con delicatezza e spesso con fare sornione e ironico, l’umana drammaticità dei personaggi, rimanendo sempre completamente privo di compassione o giudizio. A tracciare il viaggio di Jean e Bruno, sia quello reale che quello metaforico, sono sì i vini – primo fra tutti quel Saint Amour citati nel titolo – ma anche una serie di donne, una per ogni regione attraversata.

È soprattutto nel rapportarsi con loro che si consuma il viaggio dell’anima dei protagonisti: Bruno cerca molto goffamente, con la tipica invadenza dell’ebbro e la goffaggine dell’eterno insicuro, di emulare i modi da cascamorto di Mik – e per qualche insperato colpo di fortuna riesce finalmente a sdoganare le sue insicurezze; Jean si infila in un paio di letti con tenero imbarazzo, come chi ha già finito di godere dei piaceri della camera da letto e si trova più a suo agio a consolare una ragazza angosciata dal debito pubblico che ad accarezzare un corpo nudo. Fino al capolinea di Venus (Céline Sallette), creatura estranea alle regole della società, assetata di nuova vita e capace di traghettare i tre uomini in una nuova vita, surreale ma possibile.

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