Concorso letterario "Racconti di Natale": "Il Natale di Sergio", di Elena Panciera

"IL NATALE DI SERGIO" di Elena Panciera

“No, quest'anno il Natale non deve arrivare. Quest'anno no”, pensò Sergio guardando oltre la siepe di casa, tra la sua staccionata e quella di Antonio, sospirando. Il Natale, quest'anno, non deve permettersi di farsi vedere, continuava col proprio pensiero. L'anno precedente era fuggito via, impertinente, come un moccioso che ti sbatte contro il pallone, sapendo di averti colpito ma che fa finta di nulla per evitare di chiedere scusa. “Quest'anno non deve presentarsi”, sussurrò spostando la tenda del cucinino. Aveva già litigato con il vicino di casa, quel giorno. Non voleva vedere quell'albero addobbato con luci e stelle. Antonio, seccato, gli aveva risposto che era un problema suo, che bastava non guardasse fuori dalla finestra, ma non c'era stato verso di spegnere l'animo incendiato di Sergio: quell'albero doveva tornare ad essere un semplice pino, senza fronzoli, senza quegli stupidi ornamenti. Erano arrivati ai ferri corti, augurando l'uno all'altro di passare un brutto Natale. Già, come se Sergio non sapesse che sarebbe andata proprio così. Era rientrato, borbottando come una pentola di fagioli. Sbatté la porta, lasciando il suo vecchio vicino con lo sguardo accigliato e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Antonio, sospirando a sua volta, scosse la testa, sempre più impensierito.
Riempiendo un pentolino di acqua, Sergio accese il fuoco e si sedette al tavolo della cucina. Guardò fuori e la danza delle luci lo colpì di nuovo. Con un colpo d'ira, tirò le tende oramai ingiallite e coprì la testimonianza delle imminenti feste. Scostò con le dita i resti di briciole rimaste sul tavolo, cercò di formare un disegno astratto, per poi buttarle a terra, arrabbiato. Sospirò di nuovo e poggiò la fronte sulla mano. Il Natale era diventato un supplizio, un castigo al quale non poteva opporsi, ma poteva però affrontarlo con tutta la rabbia che voleva. Ne aveva tutto il diritto. Le bolle si arrampicavano sul pentolino e l'acqua, oramai bollente, lo stava richiamando all'ordine. S'infilò lo zoccolo che gli era scivolato dal piede destro, si tirò su il calzino di lana che gli era sceso sulla caviglia e si trascinò verso il fuoco. Lo spense, prese una tazza dal lavabo, l'annusò per capire se si poteva utilizzare ancora una volta prima di lavarla e versò il liquido caldo. Prese una bustina di tè e lo immerse nell'acqua fumante. Si trascinò nuovamente verso il tavolo e abbandonò il suo grosso sedere sulla sedia. Sospirò di nuovo. Pensò al Natale di quindici anni prima. Erano andati a dormire presto la sera prima e, il mattino seguente, Maria lo aveva svegliato aprendo i balconi entusiasta, mostrando il manto di neve che aveva ricoperto tutto. Si era messo a bofonchiare come suo solito, non perché fosse davvero arrabbiato ma perché oramai era entrato nella parte del capo famiglia brontolone. Maria però non demordette e continuò a sorridere, sapendo che il broncio del marito presto si sarebbe trasformato in un sorriso e l'avrebbe accompagnata fuori. Si buttarono sulle spalle due coperte di lana e, ancora svestiti, uscirono in giardino. Lo scricchiolio della neve sotto ai loro piedi li faceva sentire ancora giovani. Si guardavano indietro, per vedere la biscia di impronte che avevano lasciato con i loro zoccoli.
Sergio scosse la testa, per scacciare il ricordo. Risucchiò rumorosamente la bevanda amara, in solitudine. Il Natale non doveva arrivare, quell'anno. “Nossignore! Te ne devi girare al largo da me”, urlò come se per davvero fosse li, alle sue spalle e potesse ascoltare la sua richiesta. Bevette tutto in fretta, incurante del bruciore che sentì giù per la gola, scagliò la tazza sul lavabo, rompendone il manico. Si diresse verso la poltrona, accese la radio e ascoltò il notiziario delle dieci. Traffico, cibo, guerra, crisi, economia, veglione. Il mondo girava sempre su se stesso e attorno al sole, con Maria e senza Maria. Però lui, senza Maria, non riusciva più a vivere. Nulla era più lo stesso. Si sentiva immobile, incapace di fare tutto ciò che faceva quando lei ancora era li, vicino a lui, a togliere la polvere dai mobili, ad abbassare il volume della radio, a buttare ceppi nel camino. Erano passati oramai otto mesi, ma per lui erano otto secondi. La solitudine e la vecchiaia erano compagne letali per un uomo come Sergio, innamorato delle proprie abitudini di uomo e marito. Sospirò. Presto anche lui sarebbe volato via, proprio come sua moglie. Bastava solo aspettare e presto l'avrebbe chiamata di nuovo, lagnandosi per poi ridere con lei un'altra volta. L'orologio suonò le undici. L'imbrunire aveva ceduto il posto al buio della notte. Era giunto il momento di tornare a letto, quel letto che con Maria era troppo stretto ma da solo troppo grande. Si alzò dalla poltrona, s'infilò lo zoccolo destro, si alzò il calzino che gli era sceso di nuovo sulla caviglia e spense la luce. Nella penombra, toccò la porta della camera da letto e, raggiunto il materasso, si sedette, inventandosi preghiere mai dette prima, chiamando in causa quel Dio che si era preso la sua Maria. Quando gli occhi si stavano per chiudere e la semi coscienza lo aveva colto, venne richiamato alla realtà. Qualcuno stava bussando alla sua porta. Chi osava disturbarlo a quell'ora della notte? Si precipitò alla porta, pronto ad inveire contro chi si era permesso di distoglierlo dai suoi pensieri. Spalancò la porta e lo invase prima una folata di vento, poi un profumo di mele. Non vide nessuno ma, abbassando lo sguardo ai suoi piedi, notò il piccolo umano. Era il nipote di Antonio, un bimbetto con gli scarponi grandi come il palmo delle sue mani.
“Il mio nonno mi ha detto di portarle un pezzo di torta signor Sergio e se vuole ci sono ancora tanti pezzi di torta a casa del mio nonno se vuole venire. Il mio nonno mi ha detto di dirle che a me piacerebbe tanto che lei venisse a casa nostra”.
Sergio alzò il sopracciglio, guardò oltre la staccionata e vide Antonio fuori dall'uscio della porta in attesa. Sospirò di nuovo e fece quello che gli riusciva meglio. Borbottò dicendo che era tardi che era freddo e che era stanco. Prese poi una coperta di lana dalla poltrona e si avviò, con il bambino al suo fianco, verso casa del vicino.
“Come hai detto che ti chiami, tu?”
Il piccolo ometto gli rispose, non capì ma non se lo fece ripetere di nuovo, non voleva sembrare il solito vecchio sordo. Anche quell'anno il Natale era arrivato e, in fondo in fondo, lo aspettava anche Sergio.

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