La recensione in anteprima di "Un giorno di pioggia a New York", il nuovo film di Woody Allen al cinema dal 28 novembre
Recensione a cura di Mario Turco
In questo senso "Un giorno di pioggia a New York" funziona sia come episodio singolo che soprattutto all'interno del filone in cui è inserito. Impossibile in tal senso non vedere nella depressione artistica di Rolland Pollard il cantore del carsico pessimismo dell'autore ebreo o nella spregiudicatezza latina di Francisco Vega il modello maschile a cui il piccoletto ebreo con gli occhiali scherzosamente ha finto di voler aspirare nel corso di tutta la sua carriera. In questo ri-attraversamento autarchico dei suoi topoi cinematografici, "Un giorno di pioggia a New York" riesce a scrollarsi di dosso la pesantezza della lunga camminata e ad ottenere una freschezza battutistica che si esplica in dialoghi meno ingessati rispetto alla recente produzione. L'aver rinunciato alla componente auto-rappresentativa a favore di una specie di delega giovanilistica rappresentata da protagonisti mai forse così gioiosamente spettinati di fronte alla vita (e per una volta l'unica donna anziana del film saprà riscattare la sua meschinità di vedute con un colpo di scena memorabile e, splendido eccesso, dal risvolto tipicamente alleniano), porta un brio che rende partecipe anche lo spettatore a cui si demanda similare immedesimazione.
Come forse non mai, "Un giorno di pioggia a New York" assume i toni della favola (moderna): tra interni di abbacinante bellezza, bohemienne giocatori di poker, attori fedifraghi e la magica visione di Central Park filtrata dalla fotografia di Vittorio Storaro (che continua gli sperimentalismi sui cambiamenti di luce naturale all'interno della stessa inquadratura già iniziati con "La ruota della meraviglie - Whonder Wheel") veniamo catapultati all'interno del macrocosmo culturale alleniano. Già, perché a partire dalla scelta del nome del protagonista che nel suo doppio omaggio non finge nemmeno di voler filtrare i riferimenti, il film si smarrisce volutamente tra gite ai musei, salotti letterari e continue chiacchiere piene di sofisticherie. L'angst adolescenziale dei personaggi si tinge così di reminiscenze e colori altrui e così facendo Allen rende bene l'insicurezza di un'età dove i primi dolori sembrano così definitivi da doversi poggiare a quelli di esempi illustri per non soccombervi. Se si sta al patto finzionale screziato di magia che richiede, "Un giorno di pioggia a New York" rappresenta uno dei migliori lavori del regista di "Manhattan" e che lo cristallizza ancora di più nell'empireo dei grandi del Novecento.