La recensione dello spettacolo "Antigone, fotti la legge" di Giovan Bartolo Botta in scena al teatro Studio Uno dal 5 all'8 Dicembre

Recensione a cura di Mario Turco

Attimi di silenzio lunghissimi, quasi infiniti nella sala strapiena del Teatro Studio Uno.I tre attori si muovono indolenti, aspettando spudoratamente la reazione di un pubblico fin troppo educato. E quando cominciano lo spettacolo lo fanno canticchiando sornioni la prima strofa della sigla del celebre anime Mila e Shiro - Due cuori nella pallavolo. Antigone, fotti la legge di Giovan Bartolo Botta in scena con grande successo al Teatro Studio Uno dal 5 all'8 Dicembre mostra subito la sua attitudine punk. La protagonista dell'omonima tragedia di Sofocle, come per ogni mito che si rispetti, è presa di peso dalla sua epoca ed immersa nel flusso incessante della nostra, in una Tebe naturalmente re-inventata che, come rimarca il monologo iniziale, è appena stata sconvolta dall'arrivo politico delle sardine. Ma c'è anche l'eco (e qui dispiace solo non avere il testo dell'opera per vedere realizzata la conferma di un'impressione volatile di cui la fallace memoria non riesce ad avere contezza) della sensibilità di Cesare Pavese che nel suo "Dialoghi con Leucò" faceva parlare il mito con la voce più potente del Novecento. La compagnia Produzioni Nostrane-ULTRAS TEATRO fa di questa dicotomia tra sensibilità filologica e irriverenza moderna ("Vai pure via Antigone, Tebe è piena di figa"!) l'unica chiave possibile per rappresentare ancora una volta, e per di più in uno scantinato di Torpignattara, il dramma vissuto dalla figlia di Edipo. 


La storia viene asciugata e ridotta ai protagonisti gravitanti attorno la corte di Tebe che sono interpretati dai tre attori Isabella Carle, Claudia Salvatore e l'autore Giovan Bartolo Botta sempre contemporaneamente in scena. Ad una prima parte iniziale dalle continue distorsioni punk rappresentate dai riferimenti all'attualità ed un linguaggio sciolto segue una seconda più classicamente eschiliana. "Antigone, fotti la legge" sembra così assumere nell'arco della sua durata la parabola del movimento musicale/filosofico che campeggia orgogliosamente sin dalla bella locandina e che dopo la sbornia di distruzione seppe convertirsi in fermento creativo. Dialogando finalmente col passato ma mantenendo intatte alcune godibilissime schitarrate. Nello spettacolo infatti le stupende riflessioni di Creonte sull'inevitabilità repressiva del Potere e la contrapposizione con la nipote che vuole subordinare le leggi umane alle divine dell'affetto familiare coesistono in una cacofonica ma felice coesione con un paio di interventi in stile stand-up comedy nei quali Botta prende in giro le aspettative del pubblico. Come ad esempio nel momento finale di maggior pathos nel quale dopo che Antigone chiude la sua dura reprimenda con un torreggiante “IO SONO REGINA” il Creonte di Botta la ascolta attonito per poi chiudere con un sbrigativo “Abbiamo finito”. 


La rottura della quarta parete non impedisce comunque al testo di imporre allo spettatore la potenza del personaggio: Antigone sceglie la condanna e l’esilio pur di dare degna sepoltura al fratello anche se “non era mica così buono, andava pure a San Lorenzo”. E anche se lo spettacolo non mostra la morte della figlia di Edipo, manifestando una non preventivabile dolcezza verso il personaggio, il suo gesto ribelle riesce oggi e sempre, a fottere la legge.

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