Recensione a cura di Mario Turco
Senza voler dissentire con i professionisti del settore a noi la loro motivazione appare non perfettamente a fuoco. È sicuramente vero che “Il lago delle oche selvatiche” riflette senza didascalismi sociali sulla Cina del nostro tempo attraversandone le contraddizioni mediante gli stilemi del noir cinematografico. Da questo punto di vista la scelta di Yinan di aderire al genere e far sì che questo tipo di denuncia scaturisca come di soppiatto da una solida storia crime è perseguita con buona forza teoretica. La fuga del protagonista Zhou Zenong, costretto a nascondersi dalla polizia per aver ucciso un esponente delle forze dell’ordine durante una fuga rocambolesca dai colleghi delinquenti, si snoda infatti in notti livide dove la gente comune sembra essere esclusa, ci si spara per strada e i palazzoni diroccati riempiono coi loro buchi di cemento il vuoto ambientale intorno. La fotografia di Dong Jinsong accentua questa desolazione per contrasto ed invece di utilizzare colori neutri immerge le scene in luci al neon di abbacinante bellezza. Così però “Il lago delle oche selvatiche” tocca spesso pericolosamente punte di estetismo fine a sè stesse, pronte a far gridare al miracolo cinematografico decine di recensori ma che in realtà sembrano prodromi di manierismo festivaliero.
La misura di quanto il discorso autoriale del regista corra il rischio di chiudersi nell’arte di cui si avvale è ravvisabile nella saturazione di riferimenti, atmosfere, addirittura intere situazioni cinefile. Se Zhou Zenong è braccato per lo stesso crimine commesso dal Michel Poiccard interpretato da Belmondo in “Fino all’ultimo respiro” di Godard si arriva anche oltre, a respirare cioè aria di storia del cinema ad ogni inquadratura. Fino al paradosso che ogni svolta di trama sembra voglia obbedire all’inseguimento dell’omaggio al polar francese o ai cromatismi di Wong Kar-wai ma anche a Johnnie To e a certo Nicolas Winding Refn piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla storia. Per converso la violenza che esplode in radi momenti è filmata con partecipazione, efficace e disturbante senza facili esagerazioni splatter, tracce poetiche dove anche lo sperma sputato da una “bagnante” tra i flutti ondosi del lago ha bella significazione materica e metaforica. “Il lago delle oche selvatiche” ha la mano trattenuta del progetto pensato per troppo tempo, laccato dalle aspettative proprie e del pubblico colto al quale è rivolto, della storia nera dei protagonisti che deve raccontare del nero ancora più buio nel quale si muovono a fatica. Né il crimine né il romanticismo riescono ad esondare, accontentandosi di bagnare le sponde come fa un pavido lago. Di oche selvatiche, naturalmente.