La recensione del film "Il lago delle oche selvatiche", di Diao Yinan. Al cinema dal 13 febbraio

Recensione a cura di Mario Turco

Non esiste altro Dio della narrazione oltre il Cinema, sembrano dirci tanti registi odierni. Ma forse non esiste nemmeno più verità all’infuori della Settima Arte, come se il fatto fosse anch’esso materiale da imprimere su pellicola o riprendere in digitale per l’unica trasfigurazione possibile, quella audiovisiva. “Il lago delle oche selvatiche” (The Wild Goose Lake / Nan Fang Che Zhan De Ju Hui), di Diao Yinan in uscita nei cinema dal 13 Febbraio distribuito dalla sempre attenta Movies Inspired s’inscrive in questa gnosi del reale che sembra l’unica via di fuga di fronte alla cultura massmediale. Quarto film del regista cinese che nel 2014 si era aggiudicato l’Orso d’Oro a Berlino con “Fuochi d'artificio in pieno giorno (Báirì yànhuǒ)”, il film ne segna la definitiva internazionalizzazione dato che era anche in concorso a Cannes 2019 per la Palma d’Oro. Non stupisce quindi che riusciamo a portare anche in Italia, per una volta senza anni di ritardo, (e senza passare per la mercantile Via della Seta), un regista molto atteso a livello mondiale. Anzi, riusciamo pure a farne meritoria segnalazione: “Il lago delle oche selvatiche” è stato infatti designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con questa motivazione: “Diao Yinan porta una prospettiva poetica e un’estetica affascinante in un noir dalle esplosioni di efferata violenza, che diventa anche l’occasione per una riflessione sulla modernità cinese. Una sarabanda del caos, dove a dominare è il senso di impotenza e di morte: il regista si riappropria del genere, senza per questo smarrire il contatto con la realtà”.


Senza voler dissentire con i professionisti del settore a noi la loro motivazione appare non perfettamente a fuoco. È sicuramente vero che “Il lago delle oche selvatiche” riflette senza didascalismi sociali sulla Cina del nostro tempo attraversandone le contraddizioni mediante gli stilemi del noir cinematografico. Da questo punto di vista la scelta di Yinan di aderire al genere e far sì che questo tipo di denuncia scaturisca come di soppiatto da una solida storia crime è perseguita con buona forza teoretica. La fuga del protagonista Zhou Zenong, costretto a nascondersi dalla polizia per aver ucciso un esponente delle forze dell’ordine durante una fuga rocambolesca dai colleghi delinquenti, si snoda infatti in notti livide dove la gente comune sembra essere esclusa, ci si spara per strada e i palazzoni diroccati riempiono coi loro buchi di cemento il vuoto ambientale intorno. La fotografia di Dong Jinsong accentua questa desolazione per contrasto ed invece di utilizzare colori neutri immerge le scene in luci al neon di abbacinante bellezza. Così però “Il lago delle oche selvatiche” tocca spesso pericolosamente punte di estetismo fine a sè stesse, pronte a far gridare al miracolo cinematografico decine di recensori ma che in realtà sembrano prodromi di manierismo festivaliero. 


La misura di quanto il discorso autoriale del regista corra il rischio di chiudersi nell’arte di cui si avvale è ravvisabile nella saturazione di riferimenti, atmosfere, addirittura intere situazioni cinefile. Se Zhou Zenong è braccato per lo stesso crimine commesso dal Michel Poiccard interpretato da Belmondo in “Fino all’ultimo respiro” di Godard si arriva anche oltre, a respirare cioè aria di storia del cinema ad ogni inquadratura. Fino al paradosso che ogni svolta di trama sembra voglia obbedire all’inseguimento dell’omaggio al polar francese o ai cromatismi di Wong Kar-wai ma anche a Johnnie To e a certo Nicolas Winding Refn piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla storia. Per converso la violenza che esplode in radi momenti è filmata con partecipazione, efficace e disturbante senza facili esagerazioni splatter, tracce poetiche dove anche lo sperma sputato da una “bagnante” tra i flutti ondosi del lago ha bella significazione materica e metaforica. “Il lago delle oche selvatiche” ha la mano trattenuta del progetto pensato per troppo tempo, laccato dalle aspettative proprie e del pubblico colto al quale è rivolto, della storia nera dei protagonisti che deve raccontare del nero ancora più buio nel quale si muovono a fatica. Né il crimine né il romanticismo riescono ad esondare, accontentandosi di bagnare le sponde come fa un pavido lago. Di oche selvatiche, naturalmente.

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