La recensione di "Miss Marx", di Susanna Nicchiarelli in uscita il 17 Settembre

Recensione a cura di Mario Turco

"Era una donna eccezionale che credeva nel potere liberatorio della letteratura ma che ha conosciuto l'uomo sbagliato". Anno 2020, dichiarazione di una donna sulla donna protagonista del suo film. Se le frange più istituzionali del femminismo si trincerano ancora dietro comode avversative, desaturate di responsabilità ed ammantate di accuse al maschiocentrismo tossico siamo molto lontani dal risolvere la questione di genere. Questa auto-indulgente dichiarazione di Susanna Nicchiarelli alla conferenza stampa di presentazione alla Mostra di Venezia del suo ultimo film “Miss Marx” che uscirà nelle sale italiane il 17 Settembre grazie a 01 Distribution, può essere la base di partenza per raccontare l'ambiguo punto di vista soggiacente al biopic da lei diretto. La vita della più piccola delle tre figlie di Karl Marx, donna colta in grado di tradurre per il pubblico inglese “”Casa di bambola” di Ibsen e “”Madame Bovary” di Flaubert ed allo stesso tempo continuare a denunciare le condizioni di lavoro schiavistiche degli opifici già studiate dal padre, era un materiale denso di spunti per un discorso socio/politico sul presente. Discorso che però in questo film molto atteso e molto sentito dalla regista del sorprendente “Cosmonauta” non s'allarga mai pubblicamente del tutto preferendo restare per larghi tratti sul comodo privato. Come se non volesse fare a sconti alla volitiva Tussy, il soprannome affibbiatole sin da piccola dal clan Marx, Nicchiarelli si concentra sulle luci ed sulle ombre di una donna libera sì di concionare folle operaie ma costretta da una visione sbalestrata dell'amore a credere ai discorsi da camera da letto del suo innamorato, il commediografo socialista Edward Angeling. 


Cercando di evitare le trappole del pamphlet di genere “Miss Marx” corre con troppa foga e finisce per cadere nell'altrettanto mortale baratro del melò. Perché va bene ricordare l'inalienabile contesto borghese/salottiero dal quale Marx ed Engels enunciarono le loro rivoluzionarie teorie sul classismo capitalista, va bene ricordarne gli afflati umanistici quanto i veri e propri rigurgiti paternalistici ma condire queste sacrosante prese di posizione con una confezione adamantina da dramma sentimentale in costume attenua la carica delle interessanti riflessioni. L'ultimo film di Nicchiarelli resta quindi ingessato in una confezione extra-lusso (i complimenti tecnici alle scenografie di Alessandro Vannucci e Igor Gabrieli, alla fotografia di Crystel Fournier ed ai costumi di Massimo Cantini Parrini sono doverosi ma indicativi della dimensione commerciale di un prodotto nato per essere venduto sui mercati esteri) dalla quale cerca consapevolmente di sciogliersi attraverso scelte estemporanee di dubbia originalità. Come trasmettere la ribellione ad esempio della sua protagonista Eleanor, interpretata ottimamente da Romola Garai, dopo averla mostrata sempre imbacuccata in sontuosi abiti ottocenteschi? Ricorrendo a sguardi in macchina e alla scena dello svestimento, peraltro parziale, in full frontal con relativo ballo frenetico d'accompagnamento. 


“Miss Marx” cerca a volte d'imbrattarsi col moderno ma come quell'amico che scopre la montagna facendo escursioni nella vetta vicino casa di 1600 metri, al massimo sporca le scarpe di una sceneggiatura fin lì pulitissima. In particolare la rilettura rock de “L'internazionale” dei Downton boys che accompagna le vere immagini di repertorio dei primi scioperi operai sarebbe stucchevole perfino in una serie tv. E da una regista sensibile come Nicchiarelli alcune sortite da telenovelas, come il mistero sulla reale paternità di Freddy e l'insistenza sugli sperperi economici di Edward, dolgono ancora di più e contribuiscono a riempire il già ricco sacco delle occasioni perdute. Sospeso tra la seriosa leggerezza di “Marie Antoinette” di Sofia Coppola e la disfunzionalità vitalistica di “Ema” di Pablo Larrain, “Miss Marx” rimane vittima della sua ambizione ecumenica. In un film che vuole, per citare un precedente tematico illustre, sia il pane che le rose, per sfamarsi non basta far vedere qualche interno fumoso di fabbrica e far ascoltare le giuste rivendicazioni sullo sfruttamento minorile. In fondo l'equivoco del film e della sua suicida protagonista è che l'amore sia il nutrimento principale della lotta di classe.

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