Recensione a cura di Mario Turco
La storia è suddivisa in tre capitoli (ricorda qualcuno???), contrassegnati dall’immancabile didascalia metatestuale. L’incipit è pretestuoso e serve solo a fornire lo spunto di partenza che viene subito dopato da un intreccio caotico: un corriere, dietro incarico di una misteriosa organizzazione, trasporta il famoso quadro “Marilyn Rosa” di Andy Warhol a New York dove l'opera viene rubata. La sparizione di questa tela innesca una serie di eventi che determina l'incontro fra Michael Rubino (Emile Hirsch), boss della mafia newyorkese, il quale nutre il profondo desiderio di dedicare la propria vita alla pittura e diventare un noto artista, e John Kaplan (Jonathan Rhys Meyers), eccentrico mercante d'arte, reputato il miglior esperto in fatto di falsi pittorici. Invece di indugiare su questo già robusto ed interessante intreccio neo-noir che mischia crime e thriller metropolitano (anche se vi è un abuso di luci al neon, come capita da qualche anno nei cinema e nelle piattaforme di ogni tipo), “American night” sceglie quasi scientemente di collassare su stesso aggiungendo comprimari, tornando da altre angolazioni sullo stesso evento e cercando vieppiù di fornire caratura drammatica ai suoi due co-protagonisti. In un film che dura due ore Della Valle probabilmente almeno in fase di scrittura – perché invece in cabina di regia, pur con i debiti cinematografici che abbiamo elencato, la mano è già sicura – avrebbe sicuramente giovato di una collaborazione con qualcuno che quantomeno lo redarguisse su una maggiore calibratura dei personaggi principali.
È soprattutto il love interest della “rockstar della storia dell’arte”, la bella Sarah Flores (Paz Vega), ad essere penalizzata da questa specie di mancata curatela dato che gli unici inserti del rapporto passato con Kaplan servono al regista per creare una sensuale scena di sesso tra la coppia (ed esibire le forme di Vega, che anche a 46 anni restano notevolissime) in un tripudio di colori ad olio e pennelli. Nella seconda parte il lungometraggio inoltre non riesce a dare il giusto mordente alle paturnie esistenziali del novello e feroce boss Rubino facendo sì che tutta la sua backstory, complice anche l’evidente riferimento nominale, non riesca a reggere minimante il confronto con l’originale di Mario Puzo e nemmeno con una delle sue tante ramificazioni letterarie/cinematografiche. Peccato, perché la trovata kitsch del criminale/pittore che spara alle tele dopo avergli gettato il colore con i secchi poteva essere una salace presa in giro della nuova arte alla Jeff Koons che opportunamente compare così spesso nel film. Anche noi, per un’opera che non ha remore ad esibire i suoi modelli, ci sediamo mollemente sull’arguto giudizio di Paola casella di mymovies: "Per un film che parla di falsari e di opere d'arte contraffatte, American Night si qualifica come un esempio di entrambi".