La recensione di "Bernini", il documentario di Francesco Invernizzi al cinema dal 12 al 14 novembre

Recensione a cura di Mario Turco

Forse non tutto il mondo va verso il pop(olare). Forse la dittatura dell’idolo rispetto al reale non è così prossima. O forse, più semplicemente e dettagliatamente, non tutti i documentari d’arte sono destinati a quello storytelling di matrice anglossassone finto-accattivante che cerca di rendere, attraverso forme di narrazioni spettacolari (il vip famoso, i cliffangher da serie Tv, l’estrema mobilità della macchina da presa), artisti e movimenti complessi comprensibili anche a chi non ha i mezzi culturali per averne e non fa molto per ottenerli. Insomma, il Cielo è molto più screziato di così (e chi vuol intender, intenda!). La speranza di un mondo migliore, almeno al cinema, ce l’ha fornita “Bernini”, di Francesco Invernizzi, lo splendido documentario in sala il 12, 13 e 14 novembre e che è l’appuntamento inaugurale della stagione di "L'arte al cinema", una serie di documentari distribuiti da Magnitudo Film insieme a Chili. 

Sarà che la vita dell’architetto nato a Napoli il 7 dicembre 1598 e a cui si devono tantissime opere della topografia turistica romana non è ammantata nel mito come quella del bohemien Caravaggio o sarà, molto più probabilmente, la scelta della casa di produzione che privilegia un approccio molto più classicista, il documentario di Francesco Invernizzi si distingue infatti dall’onda lunga dei suoi predecessori per il ritorno a un’impostazione molto rigorosa, quasi austera. E dire che, lo ammettiamo, il prologo ci aveva fuorviati, portandoci a credere che avremmo assistito a un’altra vetrina commerciale, con la scelta di mettere in esergo una citazione esterofila à la page, come se nella sterminata produzione accademica non se ne potesse trovare una corrispondente. “Bernini” infatti si apre con la tonitruante citazione di un recente articolo del “New York Times”: “Nessun artista ha incarnato il Seicento come Gian Lorenzo Bernini, che ha lavorato per nove Papi e impresso in modo indelebile il suo stile sulla Città Eterna. E nessun luogo interpreta il suo genio e talento più della Galleria Borghese, la Villa – ora un museo- costruita dal suo primo mecenate, il cardinale Scipione Borghese. Bernini manifestò la sua genialità fissando la tensione e il dramma nella pietra e la mostra a lui dedicata alla Galleria Borghese è un’esperienza di quelle che capitano una sola volta nella vita”. 

Il documentario di Invernizzi è una specie di resoconto della mostra inaugurata nel Novembre 2017 e che avuto fine nel Febbraio di quest’anno, ospitata proprio all’interno della Galleria Borghese. Attraverso riprese esclusive e compiute quasi tutte in notturna per rendere allo spettatore punti di vista unici, “Bernini” si compone di nove aree narrative, quante sono le sezioni tematiche della mostra. Pochi i tratti biografici, solo quelli fondamentali: gli inizi col padre Pietro anch’egli scultore manierista che gli farà sin da bambino respirare la calce e l’odore del marmo, i rapporti col cardinale Scipione Caffarelli-Borghese, committente delle sue opere più conosciute, brevi accenni al futuro mecenatismo di papa Urbano VIII che gli affidò diversi importanti progetti nel campo dell’urbanistica e dell’architettura. Il documentario di Francesco Invernizzi si concentra moltissimo sulle opere scultoree di Gian Lorenzo riprese con carrellate e panoramiche morbidissime, insistite ma lievi, che fanno apprezzare da decine di angolazioni i dettagli di quei capolavori. 

Finalmente viene accontentata la parte più sanamente voyeuristica dello spettatore: poter guardare per interi minuti con il solo accompagnamento della musica classica la stupefacente teatralità di “Enea, Anchise e Ascanio fuggitivi da Troia” (1618-1619), ri-ammirare senza mai potersene saziare le dita impresse nella carne da Plutone ne “Il ratto di Proserpina” (1621-1622) o le sue lacrime di marmo, impallidire di fronte alla maestria tecnica ancora inspiegabile de “L’Apollo e Dafne” sono emozioni che “Bernini” procura grazie a quest’approccio da documentario classicista. La presentazione delle opere è affidata soltanto alla voce di Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese di Roma, che fornisce una solida referenza scientifica al suo intervento. Insomma, nessun nome di richiamo a guidarci improvvidamente tra le sculture: si pensi che gli altri due unici interventi sono anch’essi di storici dell’arte e in particolare di Luigi Ficacci per quanto riguarda il restauro recente di alcune opere e di Andrea Bacchi per quanto riguarda la misconosciuta produzione pittorica dell’artista. “Bernini” è insomma un coraggioso passo indietro in questo nuovo genere e che restituisce centralità all’immenso talento scultoreo dell’artista omaggiato.

LIBRI & CULTURA CONSIGLIA...