La recensione del film "Powidoki - Il ritratto negato", di Andrzej Wajda. Al cinema dall'11 luglio

Recensione a cura di Mario Turco

Un film novecentesco fino al midollo per struttura, storia raccontata, ambientazione storica e personaggi che serve come sonda critica per tracciare l'eredità che il secolo breve lascerà a questo inizio millennio fuori di testa (politica). Un regista novantenne che nel 2016 aveva ancora la forza e la coerenza di girare un'opera che solo la casualità della sua morte (avvenuta un mese dopo la presentazione al festival di Toronto) fece diventare il suo testamento cinematografico ma che in realtà serviva negli intenti a dare un'altra pennellata di colore alla tela della sua filmografia. Scriviamo di Andrzej Wajda che nel 2016 girò “Powidoki - Il ritratto negato” e che la meritoria Movies Inspired fa finalmente uscire nelle sale italiane a partire dall'11 Luglio.

Questa distanza temporale così purtroppo ampia dalla dipartita ci permette di apprezzare ancora meglio il classicismo mai banale di un regista che rischia di andare incontro purtroppo a un feroce quanto subitaneo oblio. Il film di Wajda racconta l'ultimo quadriennio di vita del pittore polacco Władysław Strzemiński, che dal 1948 al 1952 ebbe modo di sperimentare sul suo corpo già martoriato dalla guerra gli effetti distruttivi dell'intransigenza ideologica comunista. Il regista suo connazionale comincia il biopic ritraendolo probabilmente nel periodo di massimo fulgore: nella città natale di Łódź Strzemiński è docente all'Accademia di Belle Arti, membro dell'Unione degli Artisti e co-fondatore del Museo cittadino di Arte Moderna dove è ospitata la celebre Sala Neoplastica da lui ideata che ha all'interno alcuni suoi dipinti e sculture della moglie Katarzyna Kobro. Come avviene in tutte le dittature la caduta dell'artista comincia per puro caso ma una volta preso l'abbrivio la gelida burocrazia socialista ci mette poco ad annientare sia il dissenso da lui esternato che soprattutto l'uomo stesso.

"Powidoki - Il ritratto negato" racconta con insospettabile sobrietà proprio questa reificazione dell'artista che aveva come insanabile colpa quella di non adeguarsi alle mode imperanti del realismo socialista. La sua pittura così astratta, fatta di forme pure e colori primari, la redazione scritta, operata grazie all'aiuto dei suoi fedeli studenti, de “Teoria della visione” che esplicava con oggettività artistica la soggettività dei nostri modi di vedere un oggetto per rappresentarlo con libertà sulla carta erano forme di espressione orgogliosamente apolitiche che il satellite comunista più forte dell'Occidente non poteva accettare. Nonostante la ferrea denuncia, Wajda si serve per tutta la durata del film di un tono asciutto, privo di pathos drammatico ed enfasi retorica. Un sussurro continuo che però come quello del vento è in grado di sbriciolare montagne (critiche) con la sua perseveranza. Strzemiński, interpretato da un eccellente Boguslaw Linda, manifesta il suo dissenso con piana ribellione e quasi con pia rassegnazione accetta i veti via via sempre più prevaricatori del Ministero della Cultura. La violenza è trattenuta ma non per questo meno destabilizzante per lo spettatore. "Powidoki- Il ritratto negato" è infatti un cinema civile d'altri tempi che lascia siano i fatti a sconvolgere piuttosto che le forme visive con cui sono raccontate. Il grande pubblico, educato a crossover di genere e cliffhunger televisivi, in un'estate ancor più torrida del normale lascerà granelli di tempo/denaro ad un'opera come questa che però, sappiamo per certo di poterlo scrivere, supererà la contingenza per entrare a piedi saldi nel futuro. Il Novecento vive e lotta insieme a noi anche grazie ad Andrzej Wajda.

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