La recensione di "Goldstone - Dove i mondi si scontrano", al cinema dall'8 agosto


Recensione a cura di Mario Turco
Forse non siamo di fronte a una new wave australiana ma il cinema di quelle terre selvagge anche in questi anni continua a darci importati contributi audiovisivi. Se ancora adesso i divi di quella terra, quando approdano sui lidi di Hollywood, vengono presentati con la solita narrazione esotica che da Mel Gibson a Russel Crowe si ripete sempre piattamente esotica ed uguale a sé stessa, fortunatamente maggiore attenzione critica ricevono i film diretti e prodotti lì. Presenza quasi fissa dei più importanti festival, nonostante l'esigua popolazione (25 milioni) e le poche opere in grado distributivamente di valicarne i confini, il cinema australiano continua ad avere unanime apprezzamento per la qualità dei suoi prodotti. È il caso ad esempio di “Goldstone - Dove i mondi si scontrano”, (2016) di Ivan Sen che trova finalmente distribuzione anche in Italia grazie a Movies Inspired dall'8 Agosto. Regista già passato da Cannes nella sezione A certain regard nel 2011 con “Toomelah”, Sen aveva già tentato col prequel “Mistery Road” del 2013 di riflettere attraverso una storia thriller sulle contraddizioni della sua storicamente giovane nazione. Ma è proprio con questo “Goldstone - Dove i mondi si scontrano” che questa ambizione teoretica trova il suo maggior compimento. L'aver esplorato la mitologia del protagonista, il detective di origini aborigene Jay Swan (interpretato da un convincentemente stropicciato Aaron Pedersen) proprio nel citato “Mistery Road” e in una serie televisiva ad esso conseguente permette a Sen, che condivide lo stesso retaggio culturale del suo personaggio, di asciugare la narrazione come fosse parte integrante delle distese desertiche continuamente riprese. Sembra quasi che nel corso del film intercorra una sciamanica relazione tra l'indomita secchezza di Broken River, regione dell'Australia dove il film è ambientato, e gli sparuti abitanti che ci vivono silenziosamente ma quasi tutti in maniera compostamente criminale.


A un primo sguardo l'indagine di Swan su una ragazza asiatica scomparsa nell'omonima cittadina aussie serve da grimaldello per scoperchiare il soggiacente traffico di prostitute portate lì contro la loro volontà per soddisfare le voglie dei minatori della zona. In realtà in “Goldstone” da sempre tutto avviene, letteralmente, alla luce dello splendido afoso sole che sovrasta quella regione. Il poliziotto mandato dai federali non ha infatti doti deduttive particolarmente brillanti o la forza bruta tipica degli eroi western. Sin dalla prima scena in cui appare sembra vagare ramingo ed alcolizzato alla ricerca di una giustizia antica come il popolo aborigeno al quale appartiene senza partecipazione. “Goldstone” si apre proprio con immagini dei vecchi abitanti prima che subissero la colonizzazione inglese ma non cerca mai lo scontro frontale ed ideologico con lo spettatore. Sulle note dolenti della musica composta dallo stesso regista, la vicenda piuttosto si snoda attraverso le tappe d'ordinaria religione capitalistica. “Cinesi ed inglesi amavano lo stesso Dio, quello dei soldi”- dice il vecchio Jimmy a Swan quando tenta di fargli un breve resoconto storico per rendergli conto dei motivi della sua riottosità. Furnace Creek, la miniera che vuole espandersi ulteriormente attraverso le mazzette ai pochi abitanti della zona e che è la causa della tratta delle nuove/vecchie schiave sessuali, è l'avamposto del sistema economico che distrugge qualunque cosa pur di fare profitto (“it's only business” è il doloroso mantra che purtroppo risuona anche a queste latitudini). La presa di coscienza del personaggio più programmatico, il poliziotto Josh interpetrato da Alex Russell, incistatosi per eccesso di pigrizia in quel marciume, serve ad aprire uno spiraglio di speranza per lo spettatore: forse anche i figli bianchi della nazione possono riscattarsi dalla violenza colonizzatrice dei padri e quella affaristica delle loro sindache (personaggio interpretato con melliflua bravura dall'encomiabile Jacki Weaver, come sempre a suo agio nei ruoli diabolici). Il beffardo finale che in un'inquadratura mozzafiato riprende un aereo che riesce a decollare in un tramonto di fuoco chiude però con l'epilogo tipico dei noir. A Swan non resta che smarrirsi con la canoa in una gola alla ricerca delle proprie origini: a Goldstone i mondi si sono scontrati e ha vinto quello che ha smesso da tempo d'interrogarsi sulla Natura attraverso le immagini rupestri.


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