Recensione a cura di Mario Turco
Si legga ad esempio questa sua dichiarazione: "Volevo un'unica 'uniforme' per ciascun personaggio, una cosa su cui Dorothée Guiraud (la costumista NdA) ed io ci siamo concentrate. Una specie di caratterizzazione fatta su misura, per la quale più che mai abbiamo dovuto riflettere sul significato degli abiti. La scelta del taglio e dei materiali- in particolare del loro peso- implica allo stesso tempo elementi di sociologia del personaggio e verità storica". Il testo più del contesto, insomma. Una posizione ideologica che nella parte ambientata durante l'assenza della madre di Héloïse mostra la sua pretestuosità e continua a inseguire questi lapalissiani schematismi piuttosto che lasciarsi sorprendere dall'amore finalmente sbocciato. Poche, pochissime le scene di intimità infatti, come se la regista per timore di scadere nel pruriginoso si accontentasse di lasciare gli echi romeriani a suggestioni appena aggiornate a baci salivosi e così facendo cadesse nel suo straniante opposto, il fuoricampo sentimentale. Nella consapevolezza che "a tutti gli amanti sembra di inventare qualcosa" la storia presenta piuttosto succintamente le dinamiche del rapporto tra le due giovani, se non nella seconda parte dove finalmente la passione comincia a sbocciare.
Rappreso e trattenuto su questo lato (anche l'iconica scena del vestito in fiamme di Héloïse e la doppia prefigurazione sponsale sono frammenti la cui portata viene coscientemente depotenziata), l'intento del film è, di nuovo, quello di problematizzare la situazione delle donne del Settecento: "Le donne pittrici erano numerose e avevano un certo successo, soprattutto grazie alla moda dei ritratti". A loro, come rivela la stessa Marianne interpretata da Noémie Merlant, era impedito di dipingere uomini nudi sia per l'anacronistico pudore ma soprattutto per evitare che potessero imparare i segreti dell'anatomia maschile, in modo da poterle escludere dal novero delle maggiori committenze. Anche per raccontare questo interessante spunto però le soluzioni rientrano nel canone più prevedibile: gli uomini appaiono solo per pochi attimi e solo con funzioni di contorno. Sciamma ritrova il coraggio del suo stile purtroppo solo nella trattazione dell’aborto della domestica di casa dove la sensibilità della sua regia emerge con scelte stilistiche potenti e inusitate (il neonato sullo stesso tavolo della donna che sta per rinunciare alla sua gravidanza). L’unica vampata di “Ritratto di una giovane in fiamme” riguarda la dolorosissima rinuncia all’amore filiale e non l’amore sentimentale. Peccato