La recensione del film "Roubaix, une lumiere", di Arnaud Desplechin. Nelle sale dal 1 ottobre

Recensione a cura di Mario Turco

I miracoli cinematografici accadono ancora, basta credere al potere della sala. Senza esplosioni di talento registico e di progettazione mimetica, “Roubaix, une lumière”, di Arnaud Desplechin è probabilmente l'oggetto audiovisuale da molti anni a questa parte più vicino alle atmosfere ideate dalla penna di Georges Simenon, creatore e massimo esponente del giallo psicologico, sorta di terza via del thriller che rifiutando sia gli arzigogoli deduttivi della tradizione inglese che l'hard-boiled degli statunitensi affida la risoluzione delle investigazioni alle capacità psicologiche del suo spesso stropicciato detective. 


Presentato al Festival di Cannes 2019 con pochi plausi e tanti borbotti critici e distribuito nelle sale italiane dal 1 ottobre da No.Mad Entertainment, l'ultimo film del regista de “I fantasmi d'Ismael” unisce in realtà in maniera sorprendente il ritorno alla sua città d'origine e set principale di molti episodi della sua filmografia con il sentimentalismo morbido di Simenon e in particolare del suo personaggio principale, il commissario Maigret. Se le fonti letterarie dichiarate dal regista sono proprio le avventure del poliziotto operante al Quai des Orfèvres e i rovelli esistenziali del Raskol'nikov di “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij, esse si integrano con grande naturalezza al vissuto sociale della cittadina francese considerato che il film è ispirato al documentario del 2008 Roubaix, commissariat central, di Mosco Boucault che raccontava di un caso di cronaca nera avvenuto proprio a Roubaix nel 2002. Una delle città più povere della Francia, ennesimo sogno industriale infranto sull'altare di una globalizzazione selvaggia, diventa allora il contesto problematico che concorre con un concorso di colpa ai numerosi crimini presentati nel film. Tutta la prima parte di “Roubaix, une lumière” ha infatti una specie di andamento narrativo spiraliforme che avvolge ma non stritola mai la vita del commissario Daoud, interpretato da uno straordinario Roschdy Zem. Desplechin immerge da subito lo spettatore nella notti cupi di Roubaix, aiutato dalla fotografia di Irina Lubtchansky che vira su evocativi toni giallognoli nei contrasti ricorrenti tra il buio delle strade e le più disparate forme di illuminazione, non preoccupandosi di fornire ex ante le coordinate biografiche del suo carismatico protagonista ma lasciando che esse si esplichino nei casi che gli capitano durante un arco qualunque della sua carriera. 


In particolare, la tentata truffa all'assicurazione da parte di un goffo cittadino, un caso di sparizione adolescenziale e la lite familiare tra due arabi facili al coltello sono un tran-tran di desolazione che piegherebbe chiunque. Ed invece il commissario Daoud mantiene intatta una partecipazione emotiva di rara empatia, non facendosi abbrutire nemmeno dai feroci dissapori con il nipote carcerato (e in questo sottotesto Desplechin ancora una volta ha la grazia di confinare il dramma ai lati senza un giudizio di sorta). La sensibilità del poliziotto è davvero una luce nella notte pesta del piccolo paese delle Fiandre francesi e gli permette di risolvere con una folgorazione che solo a occhi disillusi può apparire medianica la violenta uccisione di un'anziana donna nei dintorni di un capannone bruciato. Questo caso d'omicidio che dalla seconda metà in poi del film aggruma le diverse attenzioni della caserma ne diventa il centro nevralgico, una specie di sfiatatoio dal quale erompono le migliori energie dei colleghi del commissario guidate dalla sua silenziosa leadership. I serrati confronti con le due ragazze sospettate diventano quasi sedute psicologiche con cui cercare di far crollare mattone per mattone il granitico muro di bugie eretto a difesa. Il vortice d'interrogatori in “Roubaix, une lumière” diventa l'unico centro agonistico della vicenda dove i ruoli, seppur sempre ben definiti, sono soggetti ad oscillazioni importanti (la dominante Claude che crolla solo alla fine aveva comunque fatto apparire in più punti i sintomi della sua irresistibile attrazione verso la caduta confessionale). Così la riproposizione scenica del delitto, in un freddo quanto terribile realismo, scioglie i segreti della balorda esecuzione del crimine ma non le tracce casuali: per i segreti socio/psicologici delle anime corrotte di Roubaix nemmeno la luce di Daoud basta.

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