La recensione dell'opera teatrale "Le notti bianche" con Giorgio Marchesi e Camilla Diana, al Teatro Ghione fino a domani

Recensione a cura di Mario Turco

"Un intero attimo di beatitudine! È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?" Ci serviamo del celebre finale dell'omonimo romanzo di Fedor Dostoevskij per raccontare l'esito della riduzione teatrale andata in onda al Teatro Ghione di Roma dal 20 al 25 Marzo de "Le notti bianche". Adattato e scritto da Francesco Giuffrè l'opera racconta le quattro notti passate insieme in una Pietroburgo dall'atmosfera rarefatta dal Sognatore senza nome e Nasten'ka, interpretati

rispettivamente da Giorgio Marchesi e Camilla Diana. La trasposizione a teatro di un testo così particolare, che vede sostanzialmente in scena solo due personaggi che scoprono timidamente le loro vite attraverso appunto narrazioni a tappe notturne era un bell'azzardo. 

Luchino Visconti, con l'aiuto della penna della miglior sceneggiatrice italiana Suso Cecchi D'Amico, nel 1957 aveva portato su schermo la vicenda rielaborandola in modo molto personale. Il suo "Le notti bianche" era quindi una moderna e personale rielaborazione dei temi presenti nel romanzo giovanile dello scrittore russo che mostrava come quella storia fosse reiterabile a latitudini e tempi diversi. Francesco Giuffrè invece sceglie un approccio speculare scegliendo un adattamento molto fedele al testo originale pur non rinunciando agli inevitabili accorgimenti meta-testuali. Esprime la visione soggiacente al progetto il protagonista Giorgio Marchesi in un'intervista: "Il tentativo è quello di raccontare questo romanzo breve non solo attraverso le parole meravigliose di Dostoevskij ma anche vedendo sul palco quello che accade tra loro o episodi raccontati dai due protagonisti”. Se da una parte infatti l'opera teatrale è precisa quasi fino al calligrafismo nella riproduzione dei sogni nebulosi del protagonista, declamati fin nel minimo particolare dell'ambientazione russa, dall'altra osa più di una libertà nel rapporto che intercorre tra il giovane uomo e Nasten'ka. In particolare è proprio sul carattere della ragazza che si ha la maggior innovazione. L'esuberante interpretazione di Camilla Diana, felice di connotare il ruolo con una recitazione dalla cinetica moderna (si veda l'uso che fa dei splendidi capelli rossi, usati a mo' di frusta, schermo protettivo o come rosario da sgranare nei momenti di maggior tensione emotiva), dona una coloritura simpaticamente civettuola alla svenevole protagonista del romanzo dostoevskijano. 

Così facendo, il contrasto tra le personalità dei due giovani risulta ancora più marcato e perciò ancora più assimilabile dal pubblico che ama vedere conciliati romanticamente i contrasti. In questo processo di empatizzazione aiuta la messa in scena volutamente minimalista della scenografia che gioca sul contrasto tra il viale chiassoso di Pietroburgo, sede dei vari appuntamenti, e la stanzetta (non ancora la "stanzuccia" dell'uomo del sottosuolo) ove il sognatore si lascia andare a monologhi febbricitanti. Un ulteriore allungamento del breve testo originale consiste nell’analessi riguardante il passato di Nasten'ka che occupa quasi tutta la parte centrale. La scelta di far interpretare anche il promesso fidanzato della ragazza da un Giorgio Marchesi con la maschera sembra accentuare ancor di più la predestinazione dell’incontro tra i due protagonisti. All’improvviso il castello di sogni grande ben quattro notti bianche crolla con l’arrivo dell’Altro. Nasten’ka riacchiappa il futuro, il Sognatore si crogiola nell’Attimo passato mentre noi spettatori siamo ben contenti di aver goduto di un’ora e mezza di bel teatro.

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