Mini Recensioni: La frode; Il lato positivo; Dead Man Down; Sinister; Just like a woman; Spring Breakers
Cari lettori,
dato che nelle ultime due settimane non ho avuto molto tempo a disposizione per scrivere le recensioni, ho pensato di inserire in un unico post delle mini-recensioni, o meglio dei brevi pareri personali sui sei titoli che sono riuscito a vedere.
Partiamo subito dal film più interessante, non solo delle ultime due settimane. Il lato positivo, meritatamente candidato a 8 premi Oscar, di cui poi ha vinto solo uno (Jennifer Lawrence come migliore attrice protagonista), tratto dal romanzo L'orlo argenteo delle nuvole di Matthew Quick, è un film che si muove in perfetto equilibrio tra la commedia e il dramma, con un pizzico di romanticismo che non guasta (soprattutto nel finale).
Il personaggio principale è un tipo eccentrico di nome Pat Solitano (Bradley Cooper) che, dopo aver perso tutto (la casa, il lavoro e la moglie, beccata a letto con un altro) e trascorso otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, proverà a riabilitarsi a casa dei genitori seguendo una nuova filosofia di vita: la ricerca perenne del "lato positivo". Un percorso, tuttavia, reso difficile dal rapporto non idilliaco con il padre (Robert De Niro), un scommettitore incallito fissato con la scaramanzia; dagli attacchi d'ansia, per cui rischia di tornare nell'istituto; dall'incontro con Tiffany (Jennifer Lawrence), una giovane vedova problematica che promette di aiutarlo a riconquistare la moglie in cambio di un aiuto nella gara di ballo.
David O. Russell è bravo, come detto, a trovare un perfetto equilibrio tra la commedia e il dramma, raccontando una storia difficile, di un uomo che trova la forza di rialzarsi partendo proprio dall'amara consapevolezza dei propri problemi psicologici e aggrappandosi ad una filosofia, quella del "senso positivo", alla base di alcune delle scene più riuscite del film, come l'irruzione, in piena notte, di Pat nella camera dei genitori per criticare il romanzo "Addio alle armi" di Ernest Emingway, a causa di un finale troppo pessimistico. Come risultano memorabili alcuni duetti con il padre, interpretato da un ottimo De Niro, finalmente ai suoi livelli dopo qualche prestazione non proprio esaltante. Una sceneggiatura e una regia, quindi, che esaltano le doti interpretative di un cast ispiratissimo, dove spicca una Jennifer Lawrence superlativa, in un ruolo non certo semplicissimo.
Un film brillante che diverte e fa riflettere. Assolutamente da vedere!
Se Il lato positivo è il film più interessante della scorsa settimana, La frode è di gran lunga il migliore di quella attuale.
Il film racconta le vicende del magnate Robert Miller (Richard Gere) che al compimento del suo 60esimo compleanno sembra vivere una vita apparentemente perfetta, nel lavoro come in famiglia. In realtà, però, Miller nasconde più di qualche segreto; la sua società, infatti, è sull'orlo del fallimento e per salvarsi, all'oscuro della famiglia e dopo aver truccato i bilanci, deve riuscire a venderla. Il tutto mentre si trova a vivere una relazione extraconiugale con una giovane artista (Laetitia Casta), che pretende sempre più attenzioni. Ma proprio la morte accidentale di quest'ultima durante un viaggio in macchina con Miller, che scappa per evitare uno scandalo, rischia di far scoperchiare il vaso di Pandora, quando il detective Michael Bryer (Tim Roth) intuisce la verità.
A livello tematico il film non presenta elementi di novità, ma la forza dello stesso è quella di rappresentare un mondo, quella dell'alta finanza, con una naturalezza e un realismo davvero incredibili.
Inoltre il regista è bravo a creare una certa ambiguità nel personaggio principale, magistralmente interpretato da Richard Gere, che pur non essendo un esempio virtuoso alla fine non attira l'antipatia dello spettatore, ma una sorta di compassione per chi vive una profonda e perenne lotta interiore tra moralità e profitto (Il mondo gira tutto intorno a 5 lettere: S-O-L-D-I). E in tal senso la figura chiave diventa quella del ragazzo di colore, Jimmy Grant (Nate Parker) che in qualche modo rappresenta la "coscienza" del protagonista.
Un film impeccabile sia dal punto di vista tecnico, con uno splendido montaggio, e sia da quello interpretativo, con comprimari di tutto rispetto, come Susan Sarandon (la moglie), Brit Marling (la figlia) e lo stesso Tim Roth. Da vedere!
Dead Man Down, diciamolo subito, non raggiunge i giudizi eccelsi dei due precedenti, ma per gli amanti dell'azione rappresenta una proposta interessante.
Victor (Colin Farrell) fa parte di una banda di mafiosi di New York, ma in realtà l'uomo è un ingegnere che ha deciso di entrarvi per uccidere i responsabili dello sterminio della sua famiglia. E quando tutto sembra andare per il verso giusto, Victor incontra Beatrice (Noomi Rapace), una misteriosa donna dal volto sfigurato che vuole vendicarsi dell'uomo che ha causato il suo incidente stradale. E proprio per questo, dopo aver visto Victor uccidere un uomo, Beatrice decide di ricattarlo, promettendo di non dire nulla in cambio del suo aiuto. Ma quello che doveva essere solo un "rapporto di lavoro", ben presto si trasformerà in qualcosa di più profondo, portando entrambi a riflettere sul valore della vendetta.
A livello tematico Dead Man Down non aggiunge niente alla sterminata produzione di film moraleggianti, a sfondo action, che si pongono l'obiettivo di sminuire il valore della vendetta, dimostrando come essa non è in grado di portare benefici reali. Un desiderio, quello della vendetta appunto, che in questo caso si sdoppia, finendo inevitabilmente per avvicinare due solitudini.
Se dunque a livello tematico il film non è il massimo e risulta anche abbastanza prevedibile, la parte action funziona decisamente meglio, grazie ad un buon ritmo e all'interpretazione credibile dei due attori protagonisti, che si confermano ancora una volta tra i migliori nel genere.
Un thriller consigliato principalmente agli amanti dell'azione e/o a coloro che cercano un piacevole intrattenimento.
Come per il film precedente, Sinister non sarà propriamente un capolavoro, ma rappresenta, per gli amanti del genere, un valido motivo per recarsi al cinema.
Ellison Oswalt (Ethan Hawke) è uno scrittore di thriller caduto nell'anonimato, dopo aver esordito con un bestseller. Per rilanciare la sua attività, l'uomo decide di trasferirsi con l'intera famiglia a King County, in una casa teatro di un efferato omicidio; una famiglia intera, infatti, ad eccezione della figlia più piccola misteriosamente scomparsa, è stata impiccata ad un albero in giardino. Dopo aver trovato in soffitta una serie di filmini che testimoniano la tragedia e altri terribili crimini, Ellison capisce di avere tra le mani il materiale perfetto per il suo nuovo romanzo e decide di proseguire nelle indagini. Tuttavia l'uomo dovrà fare i conti con una forza oscura che inizia a tormentare la casa, provocando comportamenti strani nei bambini e aumentando l'isteria della moglie, già provata dall'ennesimo trasferimento. Una situazione che finirà per trascinare tutti in una spirale di inquietudine e terrore.
Sinister fa leva su tanti luoghi comuni del genere, non spicca per l'originalità della trama e presenta qualche ripetizione narrativa di troppo. Eppure il regista statunitense è bravo a creare la giusta tensione e suspense, dosando bene il passaggio da un'atmosfera thriller all'horror vero e proprio, e utilizzando in modo efficace vecchi espedienti come suoni sinistri, scricchiolii, ecc., capaci di far saltare dalla sedia gli spettatori. Una regia attenta, quindi, riesce a sopperire a qualche pausa di troppo, soprattutto nella prima parte, trascinando lo spettatore in un percorso incalzante e coinvolgente, che culmina con un finale all'altezza.
Una pellicola che fa leva anche sulla prova attoriale misurata, equilibrata, di tutto il cast, a partire da Ethan Hawke che riesce ad essere credibile fino all'epilogo.
Un film che funziona, pur non essendo particolarmente originale. Consigliato per chi ama il genere.
Just like a woman è un film low budget intelligente, ma prevedibile e non particolarmente originale.
Marilyn (Sienna Miller) lavora come centralinista ed è sposata con Harvey, un parassita nullafacente. Quando viene licenziata e scopre il tradimento del marito, decide di partire da Chicago per partecipare a un popolare concorso di danza del ventre che si tiene a Santa Fe.
Mona (Golshifteh Farahami) è una donna mussulmana, innamorata del marito, che non riesce ad avere figli e proprio per questo viene constantemente oppressa dalla suocera. Quando, dopo l'ennesimo litigio, finisce per avvelenarla involontariamente, Mona decide di scappare per lasciarsi tutto alle spalle.
Due mondi opposti che finiscono per incontrarsi in un viaggio decisivo per le loro vite.
Just like a woman offre uno spunto narrativo interessante mettendo a confronte, e allo stesso tempo unendo, le vite di due donne tanto diverse quanto simili nel condurre un'esistenza mediocre e nell'incapacità di esprimere a pieno la propria femminilità. Una condizione a cui entrambe cercheranno di porre rimedio attraverso un viaggio, che come sempre diviene metafora di crescita e cambiamento, al ritmo della danza del ventre.
Se lo spunto narrativo è interessante, la messa in scena lascia più di qualche perplessità, soprattutto per la prevedibilità e per un ritmo abbastanza blando, mentre la recitazione delle due attrici protagonisti risulta abbastanza convincente (anche nella danza). Il finale invece, fin troppo sintetico, non è particolarmente brillante e conferisce a tutta la storia un senso di irresolutezza.
Consigliato? Ni.
L'ultimo film recensito è in realtà il primo che ho visto dei sei.
Tre studentesse provocanti (Rachel Korine, Vanessa Hudgens, Ashley Benson) decidono di rapinare un fast food per pagarsi le vacanze di primavera. Un viaggio in cui trascineranno anche Faith (Selena Gomez), una ragazza credente in cerca di evasione da una realtà troppo soffocante.
Così tutte insieme si recano in Florida per partecipare allo Spring Breakers, dove tra musica a palla, alcool a fiumi, droghe e sesso, la vita sembra avere un sapore tutto nuovo, completamente differente dalla realtà. Ma quando vengono arrestate, durante un controllo dalla polizia, sarà solo l'intervento di un gangster locale, Alien (James Franco), a salvarle dalla galera, dopo il pagamento della cauzione. E mentre Faith deciderà di tornare a casa, le altre tre ragazze verranno trascinante dall'uomo in un vero e proprio viaggio allucinante nel mondo della perversione e della criminalità.
Spring Breakers è un film provocatorio che trova la sua forza nella capacità di mostrare tutto l'appeal e, allo stesso tempo, la fragilità di un mondo solo apparentemente reale, che nasce e si esaurisce in una settimana di pura follia. Sette giorni in cui si ha la falsa ed immotivata speranza che tutto possa cambiare, immaginando una vita di perenne sballo e divertimento. Una vita che, al contrario, è possibile abbracciare solo rinunciando definitivamente alla propria purezza, entrando nel mondo della criminalità, dei soldi facili (come Alien). Ma tutto ha un prezzo e il finale, in tal senso, risulta abbastanza evocativo.
Se dunque a livello tematico il film funziona, l'uso eccessivo del nudo femminile, a tratti quasi pornografico, e una certa ripetitività narrativa e verbale, rendono il risultato finale non troppo esaltante e decisamente poco consigliabile per ragazzi giovanissimi, nonostante il messaggio implicito sia del tutto positivo.
Proprio l'uso ecessivo del nudo femminile, fermo restando la bellezza di corpi perfetti da guardare ammirati, alla fine provoca quasi un senso di nausea, un effetto forse voluto dal regista per sottolineare l'eccessiva mercificazione del corpo che a volte sono le stesse donne (soprattutto giovani e disinibite) a provocare, in modo del tutto inconsapevole (o quasi).
Altri punti di forza del film sono sicuramente una colonna sonora che spacca e la recitazione dei protagonisti, che sono chiamati a reinventare sé stessi, a partire da un inedito e convincente James Franco per arrivare alle "ex paladine", brave ragazze, della Disney.
Consigliato? Si, paradossalmente per persone di una certa età.
dato che nelle ultime due settimane non ho avuto molto tempo a disposizione per scrivere le recensioni, ho pensato di inserire in un unico post delle mini-recensioni, o meglio dei brevi pareri personali sui sei titoli che sono riuscito a vedere.
Partiamo subito dal film più interessante, non solo delle ultime due settimane. Il lato positivo, meritatamente candidato a 8 premi Oscar, di cui poi ha vinto solo uno (Jennifer Lawrence come migliore attrice protagonista), tratto dal romanzo L'orlo argenteo delle nuvole di Matthew Quick, è un film che si muove in perfetto equilibrio tra la commedia e il dramma, con un pizzico di romanticismo che non guasta (soprattutto nel finale).
Il personaggio principale è un tipo eccentrico di nome Pat Solitano (Bradley Cooper) che, dopo aver perso tutto (la casa, il lavoro e la moglie, beccata a letto con un altro) e trascorso otto mesi in un istituto psichiatrico poiché affetto da disturbo bipolare, proverà a riabilitarsi a casa dei genitori seguendo una nuova filosofia di vita: la ricerca perenne del "lato positivo". Un percorso, tuttavia, reso difficile dal rapporto non idilliaco con il padre (Robert De Niro), un scommettitore incallito fissato con la scaramanzia; dagli attacchi d'ansia, per cui rischia di tornare nell'istituto; dall'incontro con Tiffany (Jennifer Lawrence), una giovane vedova problematica che promette di aiutarlo a riconquistare la moglie in cambio di un aiuto nella gara di ballo.
David O. Russell è bravo, come detto, a trovare un perfetto equilibrio tra la commedia e il dramma, raccontando una storia difficile, di un uomo che trova la forza di rialzarsi partendo proprio dall'amara consapevolezza dei propri problemi psicologici e aggrappandosi ad una filosofia, quella del "senso positivo", alla base di alcune delle scene più riuscite del film, come l'irruzione, in piena notte, di Pat nella camera dei genitori per criticare il romanzo "Addio alle armi" di Ernest Emingway, a causa di un finale troppo pessimistico. Come risultano memorabili alcuni duetti con il padre, interpretato da un ottimo De Niro, finalmente ai suoi livelli dopo qualche prestazione non proprio esaltante. Una sceneggiatura e una regia, quindi, che esaltano le doti interpretative di un cast ispiratissimo, dove spicca una Jennifer Lawrence superlativa, in un ruolo non certo semplicissimo.
Un film brillante che diverte e fa riflettere. Assolutamente da vedere!
Se Il lato positivo è il film più interessante della scorsa settimana, La frode è di gran lunga il migliore di quella attuale.
Il film racconta le vicende del magnate Robert Miller (Richard Gere) che al compimento del suo 60esimo compleanno sembra vivere una vita apparentemente perfetta, nel lavoro come in famiglia. In realtà, però, Miller nasconde più di qualche segreto; la sua società, infatti, è sull'orlo del fallimento e per salvarsi, all'oscuro della famiglia e dopo aver truccato i bilanci, deve riuscire a venderla. Il tutto mentre si trova a vivere una relazione extraconiugale con una giovane artista (Laetitia Casta), che pretende sempre più attenzioni. Ma proprio la morte accidentale di quest'ultima durante un viaggio in macchina con Miller, che scappa per evitare uno scandalo, rischia di far scoperchiare il vaso di Pandora, quando il detective Michael Bryer (Tim Roth) intuisce la verità.
A livello tematico il film non presenta elementi di novità, ma la forza dello stesso è quella di rappresentare un mondo, quella dell'alta finanza, con una naturalezza e un realismo davvero incredibili.
Inoltre il regista è bravo a creare una certa ambiguità nel personaggio principale, magistralmente interpretato da Richard Gere, che pur non essendo un esempio virtuoso alla fine non attira l'antipatia dello spettatore, ma una sorta di compassione per chi vive una profonda e perenne lotta interiore tra moralità e profitto (Il mondo gira tutto intorno a 5 lettere: S-O-L-D-I). E in tal senso la figura chiave diventa quella del ragazzo di colore, Jimmy Grant (Nate Parker) che in qualche modo rappresenta la "coscienza" del protagonista.
Un film impeccabile sia dal punto di vista tecnico, con uno splendido montaggio, e sia da quello interpretativo, con comprimari di tutto rispetto, come Susan Sarandon (la moglie), Brit Marling (la figlia) e lo stesso Tim Roth. Da vedere!
Dead Man Down, diciamolo subito, non raggiunge i giudizi eccelsi dei due precedenti, ma per gli amanti dell'azione rappresenta una proposta interessante.
Victor (Colin Farrell) fa parte di una banda di mafiosi di New York, ma in realtà l'uomo è un ingegnere che ha deciso di entrarvi per uccidere i responsabili dello sterminio della sua famiglia. E quando tutto sembra andare per il verso giusto, Victor incontra Beatrice (Noomi Rapace), una misteriosa donna dal volto sfigurato che vuole vendicarsi dell'uomo che ha causato il suo incidente stradale. E proprio per questo, dopo aver visto Victor uccidere un uomo, Beatrice decide di ricattarlo, promettendo di non dire nulla in cambio del suo aiuto. Ma quello che doveva essere solo un "rapporto di lavoro", ben presto si trasformerà in qualcosa di più profondo, portando entrambi a riflettere sul valore della vendetta.
A livello tematico Dead Man Down non aggiunge niente alla sterminata produzione di film moraleggianti, a sfondo action, che si pongono l'obiettivo di sminuire il valore della vendetta, dimostrando come essa non è in grado di portare benefici reali. Un desiderio, quello della vendetta appunto, che in questo caso si sdoppia, finendo inevitabilmente per avvicinare due solitudini.
Se dunque a livello tematico il film non è il massimo e risulta anche abbastanza prevedibile, la parte action funziona decisamente meglio, grazie ad un buon ritmo e all'interpretazione credibile dei due attori protagonisti, che si confermano ancora una volta tra i migliori nel genere.
Un thriller consigliato principalmente agli amanti dell'azione e/o a coloro che cercano un piacevole intrattenimento.
Come per il film precedente, Sinister non sarà propriamente un capolavoro, ma rappresenta, per gli amanti del genere, un valido motivo per recarsi al cinema.
Ellison Oswalt (Ethan Hawke) è uno scrittore di thriller caduto nell'anonimato, dopo aver esordito con un bestseller. Per rilanciare la sua attività, l'uomo decide di trasferirsi con l'intera famiglia a King County, in una casa teatro di un efferato omicidio; una famiglia intera, infatti, ad eccezione della figlia più piccola misteriosamente scomparsa, è stata impiccata ad un albero in giardino. Dopo aver trovato in soffitta una serie di filmini che testimoniano la tragedia e altri terribili crimini, Ellison capisce di avere tra le mani il materiale perfetto per il suo nuovo romanzo e decide di proseguire nelle indagini. Tuttavia l'uomo dovrà fare i conti con una forza oscura che inizia a tormentare la casa, provocando comportamenti strani nei bambini e aumentando l'isteria della moglie, già provata dall'ennesimo trasferimento. Una situazione che finirà per trascinare tutti in una spirale di inquietudine e terrore.
Sinister fa leva su tanti luoghi comuni del genere, non spicca per l'originalità della trama e presenta qualche ripetizione narrativa di troppo. Eppure il regista statunitense è bravo a creare la giusta tensione e suspense, dosando bene il passaggio da un'atmosfera thriller all'horror vero e proprio, e utilizzando in modo efficace vecchi espedienti come suoni sinistri, scricchiolii, ecc., capaci di far saltare dalla sedia gli spettatori. Una regia attenta, quindi, riesce a sopperire a qualche pausa di troppo, soprattutto nella prima parte, trascinando lo spettatore in un percorso incalzante e coinvolgente, che culmina con un finale all'altezza.
Una pellicola che fa leva anche sulla prova attoriale misurata, equilibrata, di tutto il cast, a partire da Ethan Hawke che riesce ad essere credibile fino all'epilogo.
Un film che funziona, pur non essendo particolarmente originale. Consigliato per chi ama il genere.
Just like a woman è un film low budget intelligente, ma prevedibile e non particolarmente originale.
Marilyn (Sienna Miller) lavora come centralinista ed è sposata con Harvey, un parassita nullafacente. Quando viene licenziata e scopre il tradimento del marito, decide di partire da Chicago per partecipare a un popolare concorso di danza del ventre che si tiene a Santa Fe.
Mona (Golshifteh Farahami) è una donna mussulmana, innamorata del marito, che non riesce ad avere figli e proprio per questo viene constantemente oppressa dalla suocera. Quando, dopo l'ennesimo litigio, finisce per avvelenarla involontariamente, Mona decide di scappare per lasciarsi tutto alle spalle.
Due mondi opposti che finiscono per incontrarsi in un viaggio decisivo per le loro vite.
Just like a woman offre uno spunto narrativo interessante mettendo a confronte, e allo stesso tempo unendo, le vite di due donne tanto diverse quanto simili nel condurre un'esistenza mediocre e nell'incapacità di esprimere a pieno la propria femminilità. Una condizione a cui entrambe cercheranno di porre rimedio attraverso un viaggio, che come sempre diviene metafora di crescita e cambiamento, al ritmo della danza del ventre.
Se lo spunto narrativo è interessante, la messa in scena lascia più di qualche perplessità, soprattutto per la prevedibilità e per un ritmo abbastanza blando, mentre la recitazione delle due attrici protagonisti risulta abbastanza convincente (anche nella danza). Il finale invece, fin troppo sintetico, non è particolarmente brillante e conferisce a tutta la storia un senso di irresolutezza.
Consigliato? Ni.
L'ultimo film recensito è in realtà il primo che ho visto dei sei.
Tre studentesse provocanti (Rachel Korine, Vanessa Hudgens, Ashley Benson) decidono di rapinare un fast food per pagarsi le vacanze di primavera. Un viaggio in cui trascineranno anche Faith (Selena Gomez), una ragazza credente in cerca di evasione da una realtà troppo soffocante.
Così tutte insieme si recano in Florida per partecipare allo Spring Breakers, dove tra musica a palla, alcool a fiumi, droghe e sesso, la vita sembra avere un sapore tutto nuovo, completamente differente dalla realtà. Ma quando vengono arrestate, durante un controllo dalla polizia, sarà solo l'intervento di un gangster locale, Alien (James Franco), a salvarle dalla galera, dopo il pagamento della cauzione. E mentre Faith deciderà di tornare a casa, le altre tre ragazze verranno trascinante dall'uomo in un vero e proprio viaggio allucinante nel mondo della perversione e della criminalità.
Spring Breakers è un film provocatorio che trova la sua forza nella capacità di mostrare tutto l'appeal e, allo stesso tempo, la fragilità di un mondo solo apparentemente reale, che nasce e si esaurisce in una settimana di pura follia. Sette giorni in cui si ha la falsa ed immotivata speranza che tutto possa cambiare, immaginando una vita di perenne sballo e divertimento. Una vita che, al contrario, è possibile abbracciare solo rinunciando definitivamente alla propria purezza, entrando nel mondo della criminalità, dei soldi facili (come Alien). Ma tutto ha un prezzo e il finale, in tal senso, risulta abbastanza evocativo.
Se dunque a livello tematico il film funziona, l'uso eccessivo del nudo femminile, a tratti quasi pornografico, e una certa ripetitività narrativa e verbale, rendono il risultato finale non troppo esaltante e decisamente poco consigliabile per ragazzi giovanissimi, nonostante il messaggio implicito sia del tutto positivo.
Proprio l'uso ecessivo del nudo femminile, fermo restando la bellezza di corpi perfetti da guardare ammirati, alla fine provoca quasi un senso di nausea, un effetto forse voluto dal regista per sottolineare l'eccessiva mercificazione del corpo che a volte sono le stesse donne (soprattutto giovani e disinibite) a provocare, in modo del tutto inconsapevole (o quasi).
Altri punti di forza del film sono sicuramente una colonna sonora che spacca e la recitazione dei protagonisti, che sono chiamati a reinventare sé stessi, a partire da un inedito e convincente James Franco per arrivare alle "ex paladine", brave ragazze, della Disney.
Consigliato? Si, paradossalmente per persone di una certa età.