Recensione: D'AMORE E MORTE. BYRON, SHELLEY E KEATS A ROMA di Teresa Campi

Titolo: D'amore e morte. Byron, Shelley e Keats a Roma
Autore: Teresa Campi
Editore: Albeggi
Pagine: 346
Anno di pubblicazione: 2016

Prezzo copertina: 16,00 €


Recensione a cura di Marika Bovenzi

L’Ottocento è stato il secolo dei cambiamenti, delle grandi rivoluzioni, delle scoperte scientifiche, delle trasformazioni sociali ed economiche, dei mutamenti e fermenti politici, dei grandi poeti e scrittori che esaltavano nelle loro opere tematiche come la sempiterna bellezza, la morte, i sentimenti d’amore platonico e passionale, la magnificenza di architetture classiche antiche, ed infine le amenità di grandi metropoli europee come
Londra, Parigi e Roma. E proprio in quest’ultima città, in cui riecheggia ancora l’eco di grandi civiltà, si ambienta il nuovo romanzo di Teresa Campi, intitolato D’Amore e Morte.

George Gordon Byron
Tra stradine acciottolate, locande dai profumi forti, botteghe di artisti traboccanti d’arte e salotti mondani all’avanguardia, un giovanotto proveniente da Copenhagen, Christian Abrahams, incontra in modo diretto e indiretto tre dei più importanti poeti dell’epoca: Byron, Shelley e Keats. Il primo ha lasciato Roma poco prima dell’arrivo del giovane scrittore, e quindi Abrahams deve accontentarsi di ascoltare le testimonianze di chi lo ha incontrato e ha avuto a che fare con lui, come lo scultore Thorvaldsen, che Byron aveva contattato per un ritratto virile (non accontentandosi del tratto morbido e delicato di Canova); con il secondo, il meeting avviene nel salotto letterario di madame Dionigi, quando Shelley, insieme alla moglie Mary e alla cognata Claire, gode del soggiorno nell’urbe. Inoltre, Abrahams si ritrova ad assistere agli accadimenti di Villa Diodati, la notte in cui Shelley, la moglie e pochi altri ospiti faranno a gara a chi scriverà il romanzo più terrificante. In sintesi, assisterà alla nascita di “Frankenstein”, il novello Prometeo. Ed infine il terzo ed ultimo autore, Keats, che Christian scorge da lontano mentre è al Pincio in compagnia di Paolina Bonaparte. L’autore inglese è malato, e risiede in piazza di Spagna con l’amico Severn, che ha il compito di badare a lui. Ma ormai non c’è quasi più nulla da fare: morirà di tisi a soli 25 anni.

John Keats
Con un linguaggio elegante, armonioso e accattivante, Teresa Campi ci narra del soggiorno di questi scrittori amati, venerati e adorati. La grande maestria dell’autrice risiede proprio nelle descrizioni minuziose e accurate di tutto ciò che Abrahams vede: dalle ambientazioni suggestive, vivide, sfavillanti ed intense; alle figure inarrivabili, eterne e geniali degli autori inglesi. E proprio a proposito di questi ultimi, tra le righe è possibile scorgere stralci delle loro personalità: da un Byron, elegante, passionale, mutevole, misterioso e attraente; ad uno Shelley pratico, anticonformista e anticonvenzionale; ed infine ad un Keats, giovane uomo dall’animo sensibile, delicato e profondo. Varie, inoltre, sono le tematiche che emergono dalla storia: dalla bellezza della vita, visibile nelle opere d’arte; al romanticismo della morte; alla leggiadria e all’incanto estetico visto come piacere effimero. Un libro che personalmente ritengo completo, soddisfacente e ammirevole grazie al fatto che l’autrice sviluppa trama, ambientazioni e personaggi in modo eguale senza tralasciarne particolari. Un romanzo consigliato a tutti gli amanti del periodo vittoriano e a chi ha voglia di conoscere qualche curiosità in più sulla vita di tre grandi poeti inglesi.  

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