Recensione: Il mistero della buccia d'arancia, di Lia Tagliacozzo

Titolo: Il mistero della buccia d'arancia
Autore: Lia Tagliacozzo
Editore: Einaudi Ragazzi
Pagine: 120
Anno di pubblicazione: 2017

Prezzo copertina: 11,00 €


Recensione a cura di Eleonora Cocola

Se c’è una materia che Anna detesta è la storia: tutte quelle date, un mucchio di avvenimenti da ricordare... Purtroppo stavolta la maestra ha assegnato una ricerca proprio di storia! E la difficoltà è doppia, perché Anna e i suoi compagni devono scegliere un argomento e una fonte orale che gliene parli. In preda al panico, Anna chiede aiuto a sua cugina Yael, che è di quelle ragazzine brave a scuola, intelligenti, senza però essere troppo secchiona. E, come aveva previsto, Yael le dà un suggerimento interessante: perché non frugare un po’ nella storia della loro
famiglia?

Quella di Anna e Yael è una famiglia ebrea, che ama riunirsi per tenere vive le tradizioni – anche se Anna ha l’impressione che per i suoi famigliari, e soprattuto per sua nonna Miriam, le feste ebraiche siano più che altro delle occasioni per stare tutti insieme e divertirsi. Yael è sicura che nel passato della loro nonna Miriam possa nascondersi una storia interessante, e dopo le prime ricerche tra le scartoffie dei nonni si scopre che ha ragione: da bambina, la nonna Miriam -insieme alle sue sorelle- era stata costretta a rifugiarsi in Svizzera per sfuggire alle leggi razziali. E non è tutto qui! La nonna ha una strana caratteristica: è l’unica in famiglia a non apprezzare le bucce d’arancia candite preparate dal nonno. Anzi, non solo non le apprezza: le fanno proprio schifo. Le due ragazzine hanno il sospetto che dietro a questo rifiuto si nasconda una storia, e sono determinate a scoprirla.

Come tutti gli anni, all’avvicinarsi del Giorno della Memoria anche l’editoria per ragazzi sforna volumi per raccontare la shoah ai giovani lettori. Un’impresa davvero delicata e non semplice, specie se si parla di giovanissimi – come il pubblico de Il mistero della buccia d’arancia, tra i 9 e gli 11 anni. In questo caso però, Lia Tagliacozzo sceglie una modalità narrativa diversa dal solito: invece che raccontare direttamente la storia di qualche giovane vittima dell’Olocausto, fa rivivere il periodo più buio della storia attraverso la voce di una ragazzina di oggi, intenta a far venire a galla la storia di sua nonna per una ricerca scolastica. Non viene tralasciato neanche un altro tipo di memoria, quello della vita quotidiana di una famiglia ebraica che si riunisce in occasione delle tradizionali feste ebraiche, di cui vengono raccontati i principali momenti, lo svolgimento e i cibi tipici (con tanto di glossario finale per i più curiosi).

La vicenda della nonna che da bambina scampò all’Olocausto grazie a delle «mani amiche», è narrata in maniera delicata, ponendo l’accento su due punti fondamentali: da una parte il coraggio di coloro che misero in pericolo la loro vita per salvare quella di centinaia di famiglie ebree nascondendole ed aiutandole ad attraversare indenni il confine con la Svizzera; dall’altra la paura e la tristezza delle famiglie costrette a separarsi, come per ricordarci che, citando il film Bolero, «la guerra, quella vera, non è lo scontro tra quelli che si odiano, ma la separazione di quelli che si amano».

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