La recensione del docufilm "Klimt & Schiele. Eros e Psiche", al cinema dal 22 al 24 ottobre

Recensione a cura di Mario Turco

Facile previsione: tra qualche anno, soltanto dopo però aver assistito alla loro inevitabile esautorazione critica dettata dalla qualità sempre più bassa e dal numero oramai soverchiante di esponenti, faremo elegie nostalgiche su questo periodo aureo dei documentari d’arte portati al cinema. Oggi invece, aiutati dalla contemporaneità che non è mai complice, vogliamo tirare le somme senza lesinare in contrappunti negativi su questa succulenta infornata di opere che riflettono su un determinato artista o movimento contaminando la piana narrazione accademica con lo storytelling più pop. “Klimt & Schiele. Eros e Psiche”, diretto da Michele Mally e con la produzione/distribuzione della benemerita Nexo Digital nell’ambito del suo coraggioso progetto La grande arte al cinema, arriverà nei cinema italiani
il 22, 23 e 24 Ottobre.

In occasione del centenario della data che segnò la fine del celebre movimento artistico conosciuto come Secessione viennese, annus horribilis 1918 in cui morirono quasi tutti i suoi esponenti più famosi a partire proprio dai pittori protagonisti del film, l’opera di Mally scritta insieme ad Arianna Marelli intende riflettere sul lascito di un’irripetibile generazione che contrassegnò una città magica nel periodo probabilmente più fulgido della sua storia. E lo fa girando quasi tutto a Vienna e guidando lo spettatore tra le sale dell’Albertina, del Belvedere, del Kunsthistorisches Museum, del Leopold Museum, del Sigmund Freud Museum e del Wien Museum, ripercorrendo un periodo straordinario che seppe coinvolgere musica, cinema, pittura, fotografia e persino la scienza. Già, perché proprio in quegli anni Sigmund Freud compiva i suoi pionieristici studi sull’importanza della psiche per il corpo umano aprendo la strada anche nel mondo dell’arte per la rappresentazione consapevole dell’inconscio. Ecco, proprio nella trattazione di questo tema possiamo trovare la prima pecca di “Klimt & Schiele. Eros e Psiche”: esso si limita a una trattazione ingenua degli studi di Freud presentandolo come un unicum in questo campo e sopravvalutando l’influenza diretta che ebbe sulla rappresentazione artistica dei moti della mente umana. Non che si reclamasse un trattato di storia della psicologia, sia chiaro, ma è proprio nella voluta struttura narrativa della pesca a strascico perseguita dalla sceneggiatura che s’annidano, oltre a qualche scoperta, inevitabili semplicismi. Così come risultano abbastanza superflui i riferimenti biografici alla vita di Egon Schiele (al centro tra l’altro di un revival che recentemente al cinema ne ha portato un accurato biopic) e a quella di Gustav Klimt che hanno il demerito di essere fatti con sintesi wikipediana. 

Più fruttuose le interviste fatte ad esperti del settore, come il musicologo Bryan Gilliam che spiega in poche parole la roboante novità della musica atonale e di quella dodecafonica, e al pianista Rudolf Buchbinder che ricorda l’importanza della formazione musicale nei ceti borghesi della Vienna dell’epoca. Abbastanza incomprensibile invece la scelta di uccidere il contributo dell’attrice Lily Cole che legge brani de “La signorina Else”, di Arthur Schnitzler e del “Diario di una giovinetta” di Hermine Hug-Hellmuth, ricorrendo alla scelta italiota di doppiare qualunque cosa, fossero anche reality-show USA, per la nota difficoltà provinciale del Belpaese a saper leggere quantomeno i sottotitoli ascoltando altre lingue. Questa voglia di arrivare alla massa indistinta dei cultori della bella arte (che abbraccia, più o meno, tutti!) si palesa ancora una volta con la scelta di affidare a Lorenzo Richelmy, attore in rampa di lancio sia sulla tradizionale Tv che sull’innovativa Netflix, la narrazione del film. Assistiamo quindi alla solita recitazione enfatica, alla solita scelta originale dei punti di vista della macchina da presa, al solito bel faccione che modula in toni bassi le scorribande esistenziali di Egon Schiele ma che, piuttosto che affascinare lo spettatore, lo distolgono dal cuore dell’opera per la sua artificiosità. Spiace ancora una volta constatare come siano proprio gli interventi più seri dei curatori di mostre o degli storici dell’arte quelli maggiormente riusciti, o come basti piazzare sul grande schermo l’oro di Klimt e le esasperazioni grottesche di Schiele per rendere unica l’esperienza cinematografica del portare sul grande schermo l’arte più bella. È un peccato che il documentario d’arte si sia canonizzato su questi standard perché “Klimt & Schiele. Eros e Psiche” a volte ha il merito di sorprendere attraverso una narrazione polimorfica che riesce a far intravvedere legami spirituali tra le varie forme artistiche del Secessionismo Viennese.

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