La recensione de "Le ninfee di Monet - Un incantesimo di acqua e luce", al cinema solo il 26-27 e 28 novembre

Recensione a cura di Mario Turco

Trovare una propria via al documentario è una delle imprese più improbe dal punto di vista cinematografico. Da un lato devi attenerti al soggetto, alla materia e alla storia che devi raccogliere, dall’altro già il cosa e il tempo del racconto implicano una soggettività che solo gli stolti credono sia impossibile eliminare dal genere per definizione più oggettivo della settima arte, privo come viene creduto essere della componente finzionale. Oltre a questa difficoltà quando scegli di fissare la tua cinepresa su uno dei pittori più iconici di ogni tempo il rischio che la tua regia venga inglobata dalla magnificenza di quelle tele è tale da farti rispondere con uno scarto di personalità a quella sfida. Questo è il caso de “Le ninfee di Monet - Un incantesimo di acqua e luce”, di Giovanni Troilo, prodotto da Ballandi Arts e da Nexo Digital che arriverà nelle sale cinematografiche in collaborazione con TimVision Production solo il 26, 27 e 28 Novembre nell’ambito del progetto originale di Nexo Digital “La grande arte al cinema”. 

Partendo dall’idea di descrivere i fatti che portarono alla sua opera più colossale, la “Gran Decoration” ospitata nelle sale ovali da lui stesso progettate del Musée de L’Orangerie, il film di Troilo ripercorre a ritroso la vita del pittore scandagliando l’origine delle tre ossessioni che connotarono la sua arte: l’acqua, il colore, la natura. E così, guidati dall’attrice Elisa Lasowski (scritturata perché ne condivide, mon dieu, la nazionalità!), il regista ci fa risalire la Senna a bordo di un piroscafo raccontando attraverso vari quadretti il turbinio di sensazioni e tragici avvenimenti che segnarono la vita di Claude Monet. La scelta di Giovanni Troilo è di esulare dalla classica cronistoria, di non adagiarsi pedissequamente ai rigidi schemi della biografia per immagini bensì, servendosi proprio dell’idea di viaggio che struttura fisicamente la narrazione di “Le ninfee di Monet - Un incantesimo di acqua e luce”, di donare allo spettatore una confezione più simbolica, spunti di riflessione e intuizioni estetiche che sappiano cogliere la natura più segreta dell’esponente più coerente degli Impressionisti. 

Così gli interventi di Ross King, storico e autore del best-seller “Il mistero delle ninfee. Monet e la rivoluzione della pittura moderna”, della fotografa Sanne de Wilde e della giardiniera della Fondation Monet Claire Hélène Marron sono tre direttrici che, pur rispondendo precisamente alle obbligatorie scientificità, rielaborazione artistica ed eredità fisica, intendono allargare le maglie di una narrazione emozionale. Narrazione che però arriva ben presto ad abusare dei suoi elementi. Il lento inizio sulla splendida scogliera di Ètretat, ritratta da Monet nella sua prima fuga dal caos urbano, che indugia con morbidi dolly su quella costa annuncia da subito la precisa volontà di rielaborare i canoni classicisti del documentario d’arte: le tele di Monet vengono mostrate per pochi secondi e quasi sempre in dettaglio, lasciando i totali ai moderni e panoramici droni del regista. Ancora più marcata la scelta in seguito quando entriamo nel giardino di Giverny, sede della Fondazione Monet. 

In questa sezione Troilo si fa incantare dai colori delle ninfee e dal celeberrimo ponte giapponese che sormonta lo stagno continuando a inquadrarli con telecamere ad altissime definizione che restituiscono sì la bellezza mozzafiato del posto ma perdono di vista le impressioni che Monet restituiva sulle tele. “Le ninfee di Monet - Un incantesimo di acqua e luce” non accenna mai, per esempio alla tecnica pittorica dell’artista francese sbagliando inoltre la tenue linea soggettistica incentrata sull’amicizia a distanza tra lui e l’ex Primo ministro francese George Clemenceau, di scarso interesse. Anche le allegorie estetiche sulle vicende biografiche del pittore francese che giocano in maniera scontata su simbolismi e saturazioni cromatiche sono più che altro tentativi di servirsi dell’arte di un Maestro per il dispiegamento della propria arte. Che non è piccola, sia chiaro ma non può nemmeno gareggiare con l’autore de “Le ninfee rosa”. E quando finalmente nei titoli di testa scorrono come in un catalogo museale i dipinti che hanno ispirato il film ci rendiamo conto che avrebbe dovuto essere questo il centro dell’operazione: ammirare sul grande schermo i capolavori di Claude Monet.

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