La recensione del film "Pet Sematary", al cinema dal 9 maggio

Recensione a cura di Mario Turco

Può un errore di trascrizione rivelare lo status dell'horror contemporaneo? Può farlo benissimo e lo fa in maniera (inconsapevolmente?) lucida col remake di "Pet Sematary", diretto a quattro mani da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer in uscita nelle sale italiane dal 9 Maggio distribuito da 20th Century Fox. La fonetizzazione a misura bambino statunitense del "Cimitero degli animali domestici", in luogo del corretto “Pet cemetery”, rende evidente ancor di più, in questo 2019 che per fare cassa ha bisogno di ri-contestualizzare film invecchiati precocemente, la volontà di continuare a inseguire le suggestioni orrorifiche di un passato sempre colmo di potenziali remake. L'originale del 1989 portava sullo schermo il romanzo omonimo di Stephen King con una resa televisiva di basso impatto spaventevole che contribuiva ad ingolfare le fila delle mediocri trasposizioni dei libri e novelle del re dell'orrore.

Non sembrava perciò così difficile scontentare l'esigua ed intransigente fanbase del film di Mary Lambert riscrivendone gli avvenimenti principali ed ambientandolo ai giorni nostri. Anche la scelta di farlo dirigere ai giovani registi segnalatasi nel 2014 con l'interessante “Starry eyes” andava nella direzione di una rivisitazione necessaria e non un semplice plagio a scopo commerciale. Produttivamente insomma “Pet Sematary” aveva le carte in regola per riuscire a dare il giusto respiro ad una storia dal soggetto impegnativo. Il film di Kölsch e Widmyer però non rispetta le promesse e si segnala per una timidezza autoriale che ne deficia la resa. La parziale riscrittura della storia originale, con la scelta di giocarsi la svolta principale del plot lontana dal canone kinghiano sin dal trailer di lancio, appare un gesto che in psicologia sarebbe etichettata come indice dell'aggressività della persona insicura. La morte dell'undicenne Ellie al posto dell'ancor più piccolo fratellino Gage forse risponde ai canoni di verosimiglianza più stringenti del panorama horror contemporaneo (che un bambino di pochi anni potesse macchiarsi di un atroce delitto solo Carpenter poteva avere il coraggio di filmarlo NdA) ma di sicuro toglie un po' di fascino perturbante alla vicenda. Rivelare inoltre già prima dell'uscita quella che a visione del film ultimata è l'unica deviazione significativa dalla storia fa perdere ulteriore appeal commerciale. 

Pet Sematary” soffre per tutta la sua durata di questa eccessiva calibratura intellettuale che rende schizofreniche alcune sue dinamiche. La volontà di immergere il canovaccio originale nei meccanismi del cinema di paura alla James Wan (si perdoni l'eccessiva sintesi ma la tendenza della filmografia statunitense dell'ultimo decennio trova nel regista dei vari “Insidious” la sua epitome iconograficamente migliore) anestetizza paradossalmente il film attraverso la ripetuta messa in scena di facili jumpes-scare. E così ecco che la storia laterale della sorella di Rachel, mamma della zombiesca Ellie, perde la possibilità di fare della malattia della povera ragazza una deviazione body-horror a favore di una debole visionarietà tutta incentrata sulle improvvise apparizioni fantasmatiche. Anche i perfidi giochi sadici del redivivo gatto Church vengono espunti come probabilmente fuori contesto in questa più plumbea versione dell'omonimo libro di King. 

Se il “Pet Sematary” del 2019 avesse puntato decisamente sul dramma intimista della famiglia Creed e del suo capofamiglia Louis, già consapevole degli effetti collaterali della rinascita che la tumulazione nel cimitero degli indiani comporta quando decide di ridar vita alla sua amata figlia Ellie, avremmo potuto avallarne la scelta. Il limbo manieristico di cupa fotografia, ansiogena tensione e macabri dettagli ricorda invece ad ogni minuto che siamo ancora una volta alle prese con una pellicola decente ma senza spunti degni di sorta. Vorrà pur dir qualcosa che il più memorabile frammento del film sia quello più splatter, ovvero sia il cervello che fuoriesce dalla testa del giovane Victor Pascow, peraltro ripreso dal già citato film di Mary Lambert. A proposito d'errori di trascrizione (cinematografica): siamo nel 2019 ma avremmo potuto scrivere 1989 e per l'horror non avrebbe fatto nessuna differenza.

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