Recensione: C'era una volta in America, di Harry Grey

Titolo: C'era una volta in America
Autore: Harry Grey
Editore: Mattioli 1885
Pagine: 438
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo copertina: 18,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Vi sono romanzi che convogliano al proprio interno, anche inconsapevolmente, un flusso di sorprese, aspettative, ricordi, piaceri che nel corso della lettura s’intrecciano in un turbinio consequenziale dal quale è difficile estrinsecare i singoli fili. Allo stesso tempo vi sono libri che vengono con troppa frettolosità gettati nel dimenticatoio perché superati, secondo un'ottica capitalista che vede le opere d'arte concorrere tra loro per un primato e mai invece dialoganti, da una successiva opera filmica che ha portato le vicende narrate sul grande schermo. Di entrambi i casi si fa splendido paradigma il romanzo “C'era una volta in America”, di Harry Grey edito dalla Mattioli 1885 nella collana Frontiere tradotto da Benedetto Montefiori. La casa editrice romagnola per attirare gli appassionati cinefili all'acquisto cambia il titolo originale “The hoods” in quello corrispondente all'omonimo capolavoro di Sergio Leone del 1985, mostrando da un lato spregiudicatezza commerciale ma dall'altro focalizzando l'attenzione su un'opera, come scritto sopra, ingiustamente dimenticata. Perché il primo romanzo di Harry Grey, pseudonimo di Herschel Goldberg (2 novembre 1901 – ottobre 1980), testimone-cantore delle imprese criminali raccontate nel suo esordio, è un'opera folgorante che tiene avvinto il lettore dalla prima all'ultima pagina grazie all'asciutto espressionismo delle vicende riportate. Laddove il film del regista romano giocava su più piani temporali, dilatando ancor più del solito le maglie della narrazione con un uso della cronologia che si rifaceva persino ad “Alla ricerca del tempo perduto”, di Marcel Proust, l'opera di Grey opta per un adamantino rigore cronachistico.


Dall'infanzia difficile nell'East Side dove i quattro protagonisti Noodles, Max, Cockeye e Patsy manifestano da subito i germi della loro ribellione fuorilegge alla povertà di inizio Novecento nel distretto che aveva a quei tempi la più alta densità demografica del mondo, fino all'impossibile rapina alla Federal Reserve che avrebbe dovuto circondare di leggenda la banda, nelle 438 pagine ci viene raccontata la loro graduale ascesa all'interno della Combination, sorta di cartello criminale che guidava le azioni dei banditi statunitensi. La scrittura di Grey mostra un'evidente fascinazione verso il mondo della celluloide che negli anni 30/40 aveva dato vita su schermo alle biografie romanzate del gotha criminale. Si avverte a più riprese infatti la gonfiatura epica della vita di questi gaglioffi, che rispondono anche con battute cinematografiche alle loro vittime o sono circondati dal fato sornione che li fa avere successo nelle situazioni più disperate.


Inutile ricercare grumi di verosimiglianza in “C'era una volta in America”, anche là dove ve ne sono: Noodles è l'invincibile mago del coltello di Delancey Street per grazia ricevuta e il lettore deve accettarlo così come accettava la straordinaria forza di Achille nell'Iliade. Tolti gli imbarazzi sul realismo del libro e soprattutto espunti gli impossibili raffronti con la più stratificata versione di Sergio Leone “C'era una volta in America” si caratterizza soprattutto per la felice inventiva sulla criminalità dell'epoca. Facendosi portavoce di una mitologia orale che da almeno cinquant'anni passava di bocca in bocca (criminale, ovviamente), il romanzo è un'inesauribile miniera di divertenti aneddoti, descritti con sapido gusto complice dall'autore e arricchiti, come si diceva, di un'aurea semi-mitica. Il racconto in prima persona del protagonista Noodles gli permette di essere il personaggio più delineato, compresso tra la fedeltà al sempre più ambizioso Max e l'impossibile amore verso Dolores (Deborah nel film, per chi se lo chiedesse), nata sì nello stesso quartiere ma diventata ballerina di un teatro dei quartieri alti e quindi raggiungibile, secondo la sua bestiale mentalità, solo attraverso un tentativo di stupro. Gray non è certo tenero con il suo protagonista in questo ed altri passaggi. Eppure la sua voglia di cultura, riconosciuta dai colleghi e mostrata al lettore attraverso un'ingenua ma generosa carrellata di titoli (c'è pure l'immancabile Horatio Alger), i suoi dilemmi contro la comunità ebra di cui fa parte, il suo romantico dolore per la perdita della donna amata ne fanno un esponente ben più lucido del sottobosco criminale di cui fa parte. Al termine di “C'era una volta in America” si comprendono bene i motivi per i quali Sergio Leone se ne innamorò e ancora adesso gli si è grati per questo postumo lascito: la lettura del libro fa parte di quell'eredità inconsapevole che solo i geni riescono a trasmettere.

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