La recensione di "Guardiani della Galassia Vol.3", di James Gunn nelle sale dal 3 Maggio

Recensione a cura di Mario Turco

Facile adesso mettere cascate di dislike al trailer di “The Marvels” o argomentare con più serietà sulla stanchezza produttiva della filiera Marvel, diventata nell’arco di pochissimi anni davvero interminabile con il profluvio di serie tv su personaggi poco carismatici e scritti con la precisione meccanica di una writing’s room aziendale o di ChatGPT. Era appena il 2018 quando con uno dei cliffhanger più emozionalmente insostenibili dell’intera storia del cinema, “Avengers: Infinity War” lasciava orde di spettatori con l’amaro in gola per lo snap di Thanos che oltre allo sterminio di metà della popolazione mondiale uccideva alcuni dei protagonisti delle prime Tre Fasi del Marvel Cinematic Universe. Così quando il successivo “Avengers: Endgame” realizzò la rivincita dei buoni situandosi nel frattempo al secondo posto nella classifica dei maggiori incassi di tutti i tempi critica e pubblico si unirono in un peana virtuale: la chiusura della Saga dell’Infinito era un capolavoro sia culturale che capitalistico. Da quel momento la strategia produttiva della sezione cinematografica della Marvel è cambiata: invece di puntare sulla singolarità dell’evento-monstre, non facilmente replicabile per numeri a così breve distanza di tempo, essa ha preferito dilazionare il suo enorme potere produttivo sviluppando, come la controparte cartacea ha fatto da decenni, prodotti minori per qualunque tipo di nicchia ma lasciandosi ancora uno spazio per film con ambizioni maggiori. 


Ecco che “Guardiani della Galassia Vol.3”, di James Gunn nelle sale dal 3 Maggio distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures rappresenta il punto d’arrivo di una trilogia che, nata per alleggerire la gravitas dei Vendicatori, è finita nell’arco di appena tre film ad ereditare quasi suo malgrado un bel po’ di quella stessa epica supereroistica che perculava allegramente nella prima avventura e, allo stesso tempo, a ribadire il solco che esiste tra progetti, per usare una classificazione videoludica, tripla AAA e derivazioni seriali di minor impatto. Come se non bastasse, il fardello della folle continuity Marvel – in questa espansione transmediale così marcata a qualcuno interessa ancora ipotizzare gli sviluppi della storia di Peter Quill e dell’inserimento di un personaggio importante come Adam Warlock nel Multiverso? - gravava su un regista come Gunn, nel frattempo diventato direttore creativo dei DC studios e quindi propenso a chiudere il suo lavoro senza necessariamente seminare i semi di un’eredità che altri avrebbero colto. Nonostante queste fortissime influenze esterne, il brand dei Guardiani della Galassia dimostra di avere acquisito una forza impensabile ed ecco che questo Vol.3 riesce ad essere davvero un imponente space opera in grado di divertire ed emozionare con equilibrio. La rinuncia a qualunque tipo di riferimento al Multiverso e lo sviluppo di un villain autonomo non collegato alla minaccia di Kang il Conquistatore testimoniano la volontà di dare una degna chiusura al gruppo di eroi spaziali. La backstory di Rocket Racoon pone però eccessiva enfasi sul procione parlante – e la prima scena dopo i titoli di coda lascia immaginare un prosieguo che, almeno per noi, difficilmente in realtà vedrà la luce – lasciando che la chiusura degli archi narrativi degli altri personaggi trovi spazio soltanto nella seconda parte del lungometraggio, quando la tensione emotiva è stata già sciolta con lo scampato pericolo del personaggio doppiato in originale da Bradley Cooper. 


Così anche l’Alto Evoluzionario rimane una figura sacrificata tra uno stereotipato mad doctor ed un altrettanto banale demiurgo genetico (“Non esiste alcun Dio, ecco perché ho preso il comando”) che sconta inoltre la tara di essere liquidato in una scazzottata collettiva molto fan service. Guardiani della Galassia Vol.3 funziona meglio quando può lasciarsi andare alle peregrinazioni cosmiche dei suoi protagonisti: qui Gunn ha carta bianca nel giostrarsi tra una stazione orbitante organica – prevedibili ma interessanti le reinterpretazioni body-horror e perfino le tute in lattice stile Troma – e la critica al fallimento della società perfetta messa in atto dall’Alto Evoluzionario, così simile alla società statunitense. A differenza degli altri due episodi della saga, soverchiati dalla volontà di distinguersi per battute e momenti iconici, finalmente questo terzo lungometraggio riesce ad inserirli meglio nel contesto regalando al contempo una scena magistrale per esecuzione visiva e sottofondo musicale con “No sleep till Brooklyn” dei Beastie Boys. A spegnere parzialmente gli entusiasmi è però un finale troppo buonista: nemmeno uno dei continui presagi di morte disseminati nel film trova conferma e la presenza della banda di bambini geneticamente modificati (mutanti? La parola non viene ancora pronunciata ma gli eventi sono costruiti appositamente per un futuro retcon) sembra una parodia extralusso dei terribili ragazzini di Mad Max 3. Davvero il ballo di Groot, Drax, Rocket e perfino Nebula era il modo giusto di salutare affettuosamente questi sboccati Guardiani della Galassia Mulino Bianco?

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