La recensione di "Rido perché ti amo", di Paolo Ruffini in uscita nelle sale dal 6 Luglio distribuito da Medusa

Recensione a cura di Mario Turco

Persiste da qualche anno la balzana idea che ammantare una storiella semplice dietro la cortina di una "tenera fiaba" possa elevarla dall'inconsistenza del suo status originale fino a farla diventare qualcosa di rispettoso e perfino aulico. L'intercessione del canone favolistico e della sua aura letteraria serve così ad attirare, come falene alla luce, spettatori desiderosi di ritrovare nella leggerezza del passato rielaborato la complessità del quotidiano. Come se il cinema non potesse anche nutrirsi delle insostenibili sciocchezze della vita senza doverle intingere nelle riscrittura della sceneggiatura in tre atti, come se anche se anche i tempi morti, i colpi a vuoto, la noia dell'amore debbano passare dietro la ce(n)sura dei codici narrativi. 


"Rido perché ti amo", di Paolo Ruffini in uscita il 6 Luglio distribuito da Medusa vuole essere, per usare le parole del regista, una "fiaba piena di sentimento" che col suo forsennato ottimismo funga da spensierata catarsi. Il pingue Leopoldo (Nicola Nocella) e la filiforme Amanda (Barbara Venturato) sono alle prese con i preparativi del loro matrimonio. Lui è un arrogante Maestro pasticciere che nel suo "atelier" più che dolci fa opere d'arte, lei una coreografa di provincia che improvvisamente viene convocata dall'Opera di Parigi per uno spettacolo basato sul proprio lavoro. L'amore dei due giovani prosegue ininterrotto sin dall'infanzia - i 15 anni di differenza tra i due interpreti si vedono tutti e si fatica molto a crederli coetanei: anche nelle sua sidestory con l'altrettanto giovane Daphne Scoccia Ruffini dimostra il peterpanismo tutto italiano - ma ha una crisi proprio prima del suggello nuziale: Leopoldo ha smarrito la bontà e il sentimento della sua infanzia mettendo se stesso prima della sua amata. Così ecco che la distanza acuisce le difficoltà del rapporto mettendo in dubbio perfino il matrimonio tra i due. "Rido perché ti amo" è una commedia romantica che ancora una volta dimostra tutti i limiti del cinema del ruspante regista toscano. Innanzitutto, come se sentisse il peso della grande produzione Medusa, Ruffini è stranamente trattenuto nella parte comica limitandosi ad un umorismo meramente verbale, tutto sommato innocuo anche quando insiste in maniera decisa sul body-shaming del suo protagonista. Le battute sulle mirabolanti imprese mangerecce di Leopoldo, oltre che abusate, sembrano rimasugli di repertorio del Colorado Cafè che lo stesso Ruffini ha condotto per molte edizioni. Compresso tra questa faciloneria televisiva e certe interessanti derive di decoupage linguistico - "Meglio essere soli che nuvole" la battuta migliore del film - il lungometraggio sceglie di coltivare in maniera fin troppo precisa anche il lato romantico della storia. 


Qui l'esibita cinefilia di Ruffini non permette mai alla storia di uscire dalla fittizia cornice contentandosi di proporre il solito stanco riscatto emotivo del protagonista, capace di riconquistare l'amata dopo averla bellamente snobbata per anni. Cercando una specie di terza via tutta italiana tra una commedia inglese e certo allenismo - il long-take della lite tra i due protagonisti nella cucina della pasticceria, certamente notevole ma alquanto isolato in una regia troppo funzionale alla scrittura - "Rido perché ti amo" si rifugia però con troppa convinzione nella coralità dei suoi personaggi secondari. Dallo stesso Ruffini che per il suo alias, il livornese Ciro Esposito (sic!), apparecchia un intreccio sentimentale con la tatuata tatuatrice Sam che corre parallela a quella di Leopoldo (levandogli però spesso la luce della MdP), al cartolaio esistenzialista interpretato da Greg, dallo sfigato Gigi a cui Herbert Ballerina regala senza troppa convinzione la sua faccia da schiaffi fino alla starlette musicale Giulia Provvedi, lei sì divertita nel fare l’orientalista di provincia, la sceneggiatura si perde in quadretti e scene estemporanee che non nascondono la vacuità di quella principale. Rifiutando il contesto urbano questo borgo fogazzariano rimane lontano da qualsivoglia appeal di contenuti sociali ed anche i due interpreti down, che Ruffini richiama dai suoi lavori precedenti, vengono sacrificati come fossero pedine della sua autorialità. Autorialità che anche dopo un decennio di regie rimane però confusa ed approssimativa come le decine di citazioni cinematografiche e la terribile filippica sulla difficile cronologia della saga di Star Wars, anacronistica più delle Vhs e dei Dvd che il suo personaggio vende nel 2023.

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