La recensione di "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto", scritto da Lina Wertmüller in collaborazione con Valerio Ruiz ed in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 3 Dicembre per la regia di Marcello Cotugno

Recensione a cura di Mario Turco

Un giorno non molto lontano, siamo fiduciosi, il ruolo di Lina Wertmüller nel mondo culturale italiano avrà un ruolo maggiore rispetto a quello che ha adesso. Considerando che le tematiche di genere sono diventate uno dei crocevia fondamentali per capire il presente, il cinema della regista romana sarà finalmente visto per la sua essenza più pura, ovvero quella di aver saputo convogliare - pur in una dimensione che non ha mai rinunciato fortunatamente al gusto del bislacco - i sedimenti della tradizione classica delle schermaglia tra i generi, che vanno dallo screwball comedy fino a certi episodi della commedia italiana, e aver anticipato allo stesso tempo alcune delle più rivoluzionarie questioni sociali, come il ruolo politico delle rivendicazioni spesso portate avanti dai suoi personaggi o il carattere contrastivo delle sue storie. Autrice di almeno un paio di caratteri diventati maschere popolari, Wertmüller ha lasciato una grande eredità che, come i migliori lasciti, chiede solo di poter essere ampliata da qualcuno che ne sappia sia mettere a frutto il cospicuo bottino artistico sia costruirvi sopra qualcosa di nuovo. 


Ecco che "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto", scritto da Lina Wertmüller in collaborazione con Valerio Ruiz ed in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 3 Dicembre per la regia di Marcello Cotugno, scegli di situarsi con molta consapevolezza e altrettanto affetto proprio su questo solco. Questa riduzione teatrale dell'omonimo capolavoro cinematografico è stato voluto e preparato dalla stessa artista prima di morire insieme a Ruiz, suo collaboratore nell'ultima parte di carriera e che ha curato in precedenza anche la riedizione del libro "Essere o avere. Ma per essere devo avere la testa di Alvise su un piatto d'argento", scritto dell'artista qualche decennio prima e da noi recensito. Ma, a differenza di quello che ci si poteva aspettare, lo spettacolo non vuole riproporre sulle assi del Quirino in scala 1:1 l'amore al fulmicotone tra "la bottana industriale" Raffaella Pavone Lanzetti ed il marinaio Gennarino Carunchio. Diviso in due atti, il primo è difatti quello che subisce il più deciso restyling e che meglio attua la necessaria risemantizzazione semantica di un'opera che, tra i tanti motivi del proprio successo, ebbe quello di essere una formidabile e scanzonata fotografia degli anni Settanta. Così ecco che la signora Raffaella adesso appoggia apertamente le politiche anti-immigrazione di Trump mentre dileggia l'attivista svedese Greta Thunberg dato che, in un'aforisma lapidario che speriamo abbia il successo che merita, "gli ambientalisti sono la nuova pandemia". E anche se questa sua decisa virata a destra dello spettro politico forse è un po' troppo marcata (noi personalmente crediamo che oggi sarebbe stato renziana/calendiana con simpatie grilline) è anche vero che la ricca ereditiera del petrolio afferma col qualunquismo di oggi che "qui ormai non si può più dire niente". 

In un'opera così connotata dai suoi due memorabili interpreti, la pièce era chiamata a trovare due interpreti all'altezza che potessero, se non raggiungere gli apici di Melato e Giannini, quantomeno non sfigurare. Da questo punto di vista Euridice Axen e Giuseppe Zeno svolgono un egregio lavoro: se la prima è perfetta nei toni più arroganti del personaggio, - ed infatti a lei appartiene il migliore tormentone comico "Raffaella, l'universo ti vuole bene", declamato con cantilena new-age per calmare i frequenti attacchi di panico - il secondo è una graditissima scoperta nello scoppiettante dialetto catanese, forse un po' troppo mimetico nei confronti dell'originale ma capace in ogni caso di non far mai perdere la verve agli indiavolati dialoghi. "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto" per quanto riguarda la struttura del racconto mantiene la scansione del lungometraggio originale insistendo più sulla parte in barca e tagliando qualcosina sull'innamoramento degli opposti che sboccia sull'isola deserta nel Mediterrano in cui, altra gag riuscitissima, "non passa nemmeno una ONG a salvarci". È proprio il dialogo col presente la parte più felice di questa scrittura perché l’altra grande novità del testo, ovvero la scelta di far diventare il protagonista Samir, figlio di un immigrato tunisino che sconta sulla sua pelle un doppio razzismo, rappresenta un’altra perla tematica. Dove purtroppo la pièce perde compattezza sta nell’eccessivo intellettualismo delle scelte musicali (le cover di successi “estivi” e le reiterate canzoni arabe) e nella perdita di sesso e violenza durante la brutale convivenza tra gli scogli del roccioso paradiso d’amore. Al netto di queste tare, "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto" fa quello che deve fare un vero erede: emanciparsi rinnovando, anche a costo di qualche parziale delusione.

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