Titolo: Quel ramo del lago di Como
Autore: Maria Teresa Giaveri
Editore: Neri Pozza
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2023
Prezzo copertina: 15,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Esistono intere bibliografie basate su un continuo lavoro di riflessione, interpretazione e riscrittura dei classici occidentali. Se siamo fortunati abbiamo anche la fortuna di incontrare, nella nostra svagata esperienza di lettori metropolitani, romanzi che con umiltà e inventiva raccolgono l'eredità dei testi sacri della letteratura. E poi ci sono esperimenti che basano il loro intrigo su uno spunto di partenza basato sul "what if" di qualche capolavoro scritto ma che poi non sanno andare oltre questo inizio perché bloccati proprio dalle regole di questo gioco che, pur presentandosi in maniera innocua, ha in realtà regole stringenti. Lambiccarsi nella replica dello stile del maestro omaggiato o provare a calarlo nello spirito dei tempi dell'oggi prendendosi qualche libertà che rischia di attirarsi gli strali dei puristi dell'autore omaggiato? Nella certezza che nell'isteria del nuovo millennio ci sarà spazio per i detrattori di entrambe le direzioni, forse in questo caso sarebbe meglio scegliere una delle due strade e percorrerla fino in fondo.
Maria Teresa Giaveri è stata professore ordinario di Letteratura Francese e di Letterature Comparate nell’Università italiana e al CNRS francese. È membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia Peloritana, Chevalier des Arts et des Lettres e vicepresidente del Pen Club Italia. Giornalista, direttore di riviste scientifiche, insignita del «Premio Montale fuori di casa», è traduttrice e autrice di molti studi sulle letterature moderne di lingue neolatine e sui processi di genesi testuale; specialista di Paul Valéry, ne ha recentemente pubblicato la corrispondenza con Einstein. Fra le sue opere piú note, i Meridiani Mondadori di Colette, Valéry e, in questa collana, Lady Montagu e il Dragomanno. Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini (Neri Pozza 2021).
Autore: Maria Teresa Giaveri
Editore: Neri Pozza
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2023
Prezzo copertina: 15,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Esistono intere bibliografie basate su un continuo lavoro di riflessione, interpretazione e riscrittura dei classici occidentali. Se siamo fortunati abbiamo anche la fortuna di incontrare, nella nostra svagata esperienza di lettori metropolitani, romanzi che con umiltà e inventiva raccolgono l'eredità dei testi sacri della letteratura. E poi ci sono esperimenti che basano il loro intrigo su uno spunto di partenza basato sul "what if" di qualche capolavoro scritto ma che poi non sanno andare oltre questo inizio perché bloccati proprio dalle regole di questo gioco che, pur presentandosi in maniera innocua, ha in realtà regole stringenti. Lambiccarsi nella replica dello stile del maestro omaggiato o provare a calarlo nello spirito dei tempi dell'oggi prendendosi qualche libertà che rischia di attirarsi gli strali dei puristi dell'autore omaggiato? Nella certezza che nell'isteria del nuovo millennio ci sarà spazio per i detrattori di entrambe le direzioni, forse in questo caso sarebbe meglio scegliere una delle due strade e percorrerla fino in fondo.
Un libro invece che prova ad unire coriacemente le due tendenze è "Quel ramo del lago di Como", di Maria Teresa Giaveri edito da Neri Pozza nella collana Piccola Biblioteca. A rendere evidente la cifra dell'operazione - e farla diventare appetibile per un lettore sin dall'occhiata alla copertina, vero e proprio campo di sopravvivenza per un libro nelle grandi catene editoriali - ecco che il sottotitolo "7 novembre 1968: nei Promessi sposi irrompono i Moschettieri" arriva come un ludico invito: che eventi si possono immaginare dall'incontro tra i protagonisti del capolavoro di Alessandro Manzoni e quelli di Alexandre Dumas padre? Il romanzo della professoressa emerita di Letterature Comparate ha un innesco, e non poteva essere altrimenti, squisitamente metaletterario che, come nel caso del preclaro manoscritto che apre l'intreccio dei Promessi Sposi, descrive l'accidentale ritrovamento di una bozza del romanzo manzoniano da parte di Alexandre Dumas mentre sta contrattando, col solito acume imprenditoriale, i diritti delle sue opere con l'editore. Affascinato dal barocchismo dell'incipit, lo scrittore francese porta allora a casa la grezza copia fantasticando di farne una traduzione. Mentre prepara uno dei grandiosi ricevimenti che animarono la vita parigina dei suoi tempi, Dumas comincia a ideare l'incontro tra Don Abbondio ed un giovane moschettiere col cappello piumato, d’Artagnan, che insieme ai suoi tre amici si trova in Italia per un'incredibile missione segreta ordita dal cardinale Richelieu: ottenere i favori dell'Innominato per facilitare l'imminente invasione della Francia perché, come sintetizza mirabilmente proprio Francesco Bernardino Visconti, in Italia "si scende per divorarla a bocconi".
Quel ramo del lago di Como sceglie di essere un piccolo romanzo storico consapevolmente dimidiato perché da una parte dilata ed approfondisce una dei tanti pezzi di Storia presenti nei capolavori di Dumas e Manzoni – in questo caso la rivolta del ducato di Mantova e l’osteggiata investitura del Gongaza-Nevers da parte degli Asburgici – e dall’altra si diverte ad imbastire storie parallele riguardanti i personaggi comprimari, come quella gustosa che vede unirsi in focosi amplessi il turpe Innominato e l’altrettanto perversa monaca di Monza. Forse mossa dalla foga di voler anche erudire in maniera faceta i suoi lettori, Giaveri dà però fin troppo spazio alle chiacchiere geopolitiche di cui tutti i personaggi sono ghiotti a scapito sia di Renzo, ridotto a mero lacchè di Athos, sia soprattutto di Lucia, apparizione fantasmatica e domestica di appena una riga di testo. Anche l’avventura principale dei moschettieri non fa mai ricorso all’uso di armi o dei pirotecnici colpi di scena tipici di Dumas limitandosi, con sapiente ma alla fin fine scialbo stile, a condurli fino a Venezia. Ecco che all’approdo alla città lagunare la scelta di convogliare il racconto nei soliti meandri della ricerca del “codice leonardesco”, escamotage narrativo esperibile in tanti thriller di bassa lega, non rende giustizia alla fin lì dotta scrittura. Quel ramo del lago di Como diventa allora suo malgrado un capitolo da espungere senza troppi patemi dalla ricca bibliografia di Dumas/Manzoni perché non è né un’appendice curiosa né un’originale scrittura ma poco più che un ottimo gioco letterario assegnato durante un semestre universitario poco movimentato.