Recensione a cura di Eleonora Cocola
In Cina, durante la Rivoluzione Culturale, una famiglia si sgretola: Lu Yanshi (Chen Daoming) viene inviato in un campo di lavoro come prigioniero politico ed è costretto a lasciare l’amata moglie Feng Wanyu (Gong Li) e la figlia Dan Dan (Zhang Huiwen) di soli tre anni. Questo è solo l’antefatto della vicenda narrata in Lettere di uno sconosciuto, che inizia con Lu che, fuggito dal campo di lavoro dopo molti anni di prigionia, cerca di raggiungere la sua famiglia; lui e la moglie riescono solo a intravedersi, perché Dan Dan, cresciuta nel mito del partito a cui è fedelissima, ha denunciato alle autorità il padre, che viene nuovamente catturato sotto gli occhi di Yu. Tre anni dopo la Rivoluzione è terminata e il nome di Lu viene riabilitato; l’uomo torna a casa, accolto dalla figlia pentita e dalla moglie, la quale però non è in grado di riconoscerlo a causa di un’amnesia da cui è affetta. Vedendo nel volto di Lu talvolta un semplice sconosciuto, talvolta un individuo di nome Fan per cui non prova che ribrezzo, Yu continua ad attendere il ritorno del marito.
Lasciato da parte il genere epico e il blockbuster cinese di successo stile La foresta dei pugnali volanti (2004) e La città proibita (2006), a cui Zhang Yimou si è dedicato negli anni 2000, con questa pellicola il regista cinese ripiega su atmosfere più intimiste e raccolte. Raccolte sono infatti la maggior parte delle ambientazioni in cui si svolge la storia, soprattutto nella seconda parte, la più sentimentale del film: prevalgono gli interni della modesta casa dei due coniugi, ambienti ovattati e intimi, i colori tenui, l’illuminazione flebile e discreta - solo raramente la luce del sole inonda i volti dei personaggi. Raccolta è anche la modalità con cui le emozioni sono veicolate. In questo film non c’è spazio per i sentimentalismi facili: nessuna rievocazione esplicita del passato in cui Lu e Yu erano stati felici, nessun indugio sulle sofferenze di Lu durante gli anni di prigionia; nessuna scena madre, pochissima ostentazione di dolore. Questa delicatezza tuttavia non mina la drammaticità del film, un po’ per la storia oggettivamente toccante, un po’ per via dell’ottima interpretazione dei due attori protagonisti, i quali con la loro espressività, su cui la telecamera indugia spesso e volentieri in lunghi primi piani, danno vita al dramma dei personaggi con un’intensità che per quanto trattenuta non può lasciare indifferenti.
All’espressività di Gong Li è affidato il dolore paziente di Yu, che attende imperterrita il marito senza potersi rendere conto di averlo proprio accanto, intento a leggerle le lettere che lui stesso le aveva scritto, e lo smarrimento dovuto alle lacune della memorie; alla dolce compostezza di Chen Daoming è lasciato il dramma di Lu, che spinto dall’incrollabile amore per la moglie trova il modo di starle vicino nonostante la malattia, senza mai abbandonare il tentativo di farle ricordare il passato.
Volendo trovargli una pecca, Lettere di uno sconosciuto non brilla certo per il suo ritmo narrativo, che risulta non tanto lento quanto sospeso: in moltissimi momenti lo spettatore è lasciato sulle spine, come ad attendere un evento che sembra incombente, forse un ricordo che affiori nella mente di Yu e che a volte sembra proprio lì lì per riemergere dal fondo dei suoi occhi.
È un film consigliatissimo, una storia d’amore che pur affrontando una tematica ultimamente abbastanza gettonata (quella della memoria), è del tutto originale e non scontato, dall’impatto emotivo estremamente forte.
In Cina, durante la Rivoluzione Culturale, una famiglia si sgretola: Lu Yanshi (Chen Daoming) viene inviato in un campo di lavoro come prigioniero politico ed è costretto a lasciare l’amata moglie Feng Wanyu (Gong Li) e la figlia Dan Dan (Zhang Huiwen) di soli tre anni. Questo è solo l’antefatto della vicenda narrata in Lettere di uno sconosciuto, che inizia con Lu che, fuggito dal campo di lavoro dopo molti anni di prigionia, cerca di raggiungere la sua famiglia; lui e la moglie riescono solo a intravedersi, perché Dan Dan, cresciuta nel mito del partito a cui è fedelissima, ha denunciato alle autorità il padre, che viene nuovamente catturato sotto gli occhi di Yu. Tre anni dopo la Rivoluzione è terminata e il nome di Lu viene riabilitato; l’uomo torna a casa, accolto dalla figlia pentita e dalla moglie, la quale però non è in grado di riconoscerlo a causa di un’amnesia da cui è affetta. Vedendo nel volto di Lu talvolta un semplice sconosciuto, talvolta un individuo di nome Fan per cui non prova che ribrezzo, Yu continua ad attendere il ritorno del marito.
Lasciato da parte il genere epico e il blockbuster cinese di successo stile La foresta dei pugnali volanti (2004) e La città proibita (2006), a cui Zhang Yimou si è dedicato negli anni 2000, con questa pellicola il regista cinese ripiega su atmosfere più intimiste e raccolte. Raccolte sono infatti la maggior parte delle ambientazioni in cui si svolge la storia, soprattutto nella seconda parte, la più sentimentale del film: prevalgono gli interni della modesta casa dei due coniugi, ambienti ovattati e intimi, i colori tenui, l’illuminazione flebile e discreta - solo raramente la luce del sole inonda i volti dei personaggi. Raccolta è anche la modalità con cui le emozioni sono veicolate. In questo film non c’è spazio per i sentimentalismi facili: nessuna rievocazione esplicita del passato in cui Lu e Yu erano stati felici, nessun indugio sulle sofferenze di Lu durante gli anni di prigionia; nessuna scena madre, pochissima ostentazione di dolore. Questa delicatezza tuttavia non mina la drammaticità del film, un po’ per la storia oggettivamente toccante, un po’ per via dell’ottima interpretazione dei due attori protagonisti, i quali con la loro espressività, su cui la telecamera indugia spesso e volentieri in lunghi primi piani, danno vita al dramma dei personaggi con un’intensità che per quanto trattenuta non può lasciare indifferenti.
All’espressività di Gong Li è affidato il dolore paziente di Yu, che attende imperterrita il marito senza potersi rendere conto di averlo proprio accanto, intento a leggerle le lettere che lui stesso le aveva scritto, e lo smarrimento dovuto alle lacune della memorie; alla dolce compostezza di Chen Daoming è lasciato il dramma di Lu, che spinto dall’incrollabile amore per la moglie trova il modo di starle vicino nonostante la malattia, senza mai abbandonare il tentativo di farle ricordare il passato.
Volendo trovargli una pecca, Lettere di uno sconosciuto non brilla certo per il suo ritmo narrativo, che risulta non tanto lento quanto sospeso: in moltissimi momenti lo spettatore è lasciato sulle spine, come ad attendere un evento che sembra incombente, forse un ricordo che affiori nella mente di Yu e che a volte sembra proprio lì lì per riemergere dal fondo dei suoi occhi.
È un film consigliatissimo, una storia d’amore che pur affrontando una tematica ultimamente abbastanza gettonata (quella della memoria), è del tutto originale e non scontato, dall’impatto emotivo estremamente forte.