Titolo: Il pastore d'Islanda
Autore: Gunnar Gunnarsson
Editore: Iperborea
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2016
Prezzo copertina: 15,00 €
Recensione a cura di Marika Bovenzi
Tra i vari libri che sopravvivono nel tempo, divenendo delle vere e proprie pietre miliari della letteratura, va annoverato anche il capolavoro dello scrittore islandese Gunnar Gunnarsson, Il pastore d’Islanda, una storia natalizia impregnata di filosofia, fede cristiana e rapporto tra uomo e natura. La storia è ispirata ad una vicenda realmente accaduta il 10 dicembre 1925 sui monti della regione orientale islandese. Qui, un gruppo di uomini guidati da Benedikt Sugurjónsson, parte alla ricerca di un gregge di pecore, e ovviamente si ritrova ad affrontare le insidie del
gelido inverno locale.
Gunnarsson, nonostante sia stimolato dal reale accadimento, in qualche modo se ne distacca, rendendo Benedikt protagonista indiscusso di questo viaggio, accanto a due amici fidati: il cane Leó e il montone Roccia. Siamo nella prima domenica d’Avvento e il nostro pastore si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite sui monti. La sua impresa è rischiosa, il clima e le poche ore di luce non rendono affatto semplice l’operazione, ma la “ santa trinità” non demorde e si avventura in un viaggio attraverso l’immensa distesa bianca della steppa, combattendo e sopravvivendo -a dispetto di ogni previsione- contro la forza e l’impeto delle tormente di neve. E proprio durante questo viaggio mistico, Benedikt affronta il dilemma della paura della morte, della brevità della vita umana, della solitudine, del materialismo dell’esistenza, della natura come forza motrice primordiale, delle condizioni climatiche viste come creatrici e distruttrici della vita.
Con un linguaggio semplice e diretto, Gunnarsson regala al lettore magistrali descrizioni di luoghi innevati, personaggi solitari, condizioni atmosferiche feroci. Personalmente, ho amato questo romanzo per la minuziosità e il particolarismo utilizzato dall’autore nel narrare scenari ed emozioni: dalla fredda neve, confortante e familiare; alla magnificenza e alla maestosità dei monti islandesi; alla ferocia e alla selvaggia delle tempeste; alla solennità e al primitivismo della natura; fino allo stupore, alla paura e all’adrenalina che un viaggio simile può suscitare nell’animo di un essere umano.
Inoltre, ho apprezzato molto anche la profondità e il legame tra i personaggi: non a caso, fin dall’inizio della storia, Gunnarsson sottolinea che si tratta di una comitiva di tre compari, e non di un uomo e di due animali, e questo ci fa capire che il loro rapporto non è relegato a quello di padrone e bestia, ma al contrario vi è un vincolo di amicizia, rispetto e fedeltà. Un’altra cosa che, a mio avviso, va sottolineata, è la relazione tra Benedikt e il suo viaggio con il mondo cristiano: tutto ciò che accade nel libro può essere interpretato in qualche modo come un’allegoria della vita e degli insegnamenti di Cristo. Il personaggio, di per sé, si presenta come una figura umile, altruista e benevola, una sorta di uomo del popolo che va contro ogni forza, aspettativa e difficoltà. Una storia natalizia che, in qualche modo, oserei definire il dickensiano canto di Natale islandese. Consigliato.
L'AUTRICE
Autore: Gunnar Gunnarsson
Editore: Iperborea
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2016
Prezzo copertina: 15,00 €
Recensione a cura di Marika Bovenzi
Tra i vari libri che sopravvivono nel tempo, divenendo delle vere e proprie pietre miliari della letteratura, va annoverato anche il capolavoro dello scrittore islandese Gunnar Gunnarsson, Il pastore d’Islanda, una storia natalizia impregnata di filosofia, fede cristiana e rapporto tra uomo e natura. La storia è ispirata ad una vicenda realmente accaduta il 10 dicembre 1925 sui monti della regione orientale islandese. Qui, un gruppo di uomini guidati da Benedikt Sugurjónsson, parte alla ricerca di un gregge di pecore, e ovviamente si ritrova ad affrontare le insidie del
gelido inverno locale.
Gunnarsson, nonostante sia stimolato dal reale accadimento, in qualche modo se ne distacca, rendendo Benedikt protagonista indiscusso di questo viaggio, accanto a due amici fidati: il cane Leó e il montone Roccia. Siamo nella prima domenica d’Avvento e il nostro pastore si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite sui monti. La sua impresa è rischiosa, il clima e le poche ore di luce non rendono affatto semplice l’operazione, ma la “ santa trinità” non demorde e si avventura in un viaggio attraverso l’immensa distesa bianca della steppa, combattendo e sopravvivendo -a dispetto di ogni previsione- contro la forza e l’impeto delle tormente di neve. E proprio durante questo viaggio mistico, Benedikt affronta il dilemma della paura della morte, della brevità della vita umana, della solitudine, del materialismo dell’esistenza, della natura come forza motrice primordiale, delle condizioni climatiche viste come creatrici e distruttrici della vita.
Con un linguaggio semplice e diretto, Gunnarsson regala al lettore magistrali descrizioni di luoghi innevati, personaggi solitari, condizioni atmosferiche feroci. Personalmente, ho amato questo romanzo per la minuziosità e il particolarismo utilizzato dall’autore nel narrare scenari ed emozioni: dalla fredda neve, confortante e familiare; alla magnificenza e alla maestosità dei monti islandesi; alla ferocia e alla selvaggia delle tempeste; alla solennità e al primitivismo della natura; fino allo stupore, alla paura e all’adrenalina che un viaggio simile può suscitare nell’animo di un essere umano.
Inoltre, ho apprezzato molto anche la profondità e il legame tra i personaggi: non a caso, fin dall’inizio della storia, Gunnarsson sottolinea che si tratta di una comitiva di tre compari, e non di un uomo e di due animali, e questo ci fa capire che il loro rapporto non è relegato a quello di padrone e bestia, ma al contrario vi è un vincolo di amicizia, rispetto e fedeltà. Un’altra cosa che, a mio avviso, va sottolineata, è la relazione tra Benedikt e il suo viaggio con il mondo cristiano: tutto ciò che accade nel libro può essere interpretato in qualche modo come un’allegoria della vita e degli insegnamenti di Cristo. Il personaggio, di per sé, si presenta come una figura umile, altruista e benevola, una sorta di uomo del popolo che va contro ogni forza, aspettativa e difficoltà. Una storia natalizia che, in qualche modo, oserei definire il dickensiano canto di Natale islandese. Consigliato.
L'AUTRICE
Gunnar Gunnarsson (1889-1975), plurinominato al Nobel, è uno dei grandi nomi della letteratura islandese. Nato in una famiglia povera ma deciso a seguire la sua vocazione di scrittore, si trasferisce in Danimarca dove riesce a terminare gli studi e comincia a scrivere romanzi che presto gli procurano fama internazionale e i più prestigiosi riconoscimenti. Tutte le sue maggiori opere sono state scritte in danese, tra cui Il pastore d’Islanda, La chiesa sulla montagna, L’uccello nero, e solo in seguito tradotte in islandese dall’autore stesso, che torna in patria nel 1939 per rimanervi fino alla morte. Il pastore d'Islanda ha avuto svariate letture e interpretazioni sia in Islanda che all'estero.
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