La recensione di "Ottocento", lo spettacolo teatrale con Elena Bucci e Marco Grosso al Teatro Palladium
Recensione a cura di Mario Turco
Sembra un paradosso ma in un'epoca dove l'esistenza di enormi archivi digitali potrebbe far pensare che la salvaguardia della memoria sia un processo oramai automatico esso in realtà continua a perpetuarsi attraverso le arti analogiche. Si pensi al caso della grande letteratura che è facile permutare in stringhe di codice binario e che però hanno la tara di restare ferme lì, in grandi server che accumulano polvere non meno delle biblioteche. Solo il loro continuo circolo, attraverso letture e riproposizioni di arti troppo spesso tacciate di essere sorpassate riesce a dargli ancora quel respiro di cui abbisognano. Con "Ottocento", andato in scena al Teatro Palladium di Roma fino al 10 Febbraio ad opera della compagnia Le Belle Bandiere assistiamo proprio a uno di questi vitali processi di trasmissione culturale. Lo spettacolo portato in scena dalla bravissima Elena Bucci, solo recentemente onorata del Premio Ubu 2016 come migliore attrice a fronte di una carriera ultratrentennale sempre all'insegna della qualità, e dal sorprendente Marco Grosso, capace di variare registro con innaturale disinvoltura, propone
infatti un excursus prettamente letterario nel secolo omonimo.
infatti un excursus prettamente letterario nel secolo omonimo.
I due attori interpretano Giovacchino e Clotilde, anime candide che si muovono all'interno di una cornice lasciata volutamente in divenire. Il fischio di un treno, mezzo di locomozione che permise agli artisti di contaminarsi con altri scenari, apre lo spettacolo. La scena è scarna, dominata da un mobilio antico e rappresentativo che connota un viaggio che non si capisce mai quanto sia metaforico o reale. Questa voluta ambiguità è un punto di forza che giova al tono misterico della vicenda rappresentata che ha la peculiare caratteristica di lasciarsi travolgere dai più famosi segmenti dei capolavori ottocenteschi. Saltiamo infatti con allegra noncuranza, senza un evidente fil rouge che li colleghi, dai tormenti amorosi dei protagonisti delle opere delle sorelle Brontë agli impeti risorgimentali accompagnati dalla musica di Verdi, dalla tragedia dell'Anna Karenina di Tolstoj al dolore umanissimo della creatura del "Frankestein" di Mary Shelley, dai deliri narcotici di Baudelaire alla struggente poesia di Emily Dickinson.
Il secolo, come si vede da questo elenco parzialissimo, fu particolarmente prodigo e come dicono gli stessi attori in una pre-intervista "è stato un po’ come godere di una grande ricchezza e allo stesso tempo avere la sensazione di una grande perdita." Già, perché come sempre a fare più rumore sono gli assenti e a questo proposito è esemplificativa un intervento della stessa Elena Bucci che ad un certo punto erompe urlando "Ma manca Leopardi, Manzoni, mancano gli italiani!". Da "Ottocento" non si pretendeva naturalmente la completezza di un'enciclopedia ma il furore randomico degli spezzoni, recitati con alterne fortune (intenso il monologo iniziale del protagonista di "Memorie dal sottosuolo", pedissequo quello di "La signora delle camelie" di Alexandre Dumas figlio, per dire) fa rammaricare dell'assenza di un'idea narrativa robusta che permetta a questo collage di altissime parole significanti di acquisire una diversa sfumatura. Anche la parziale apparizione degli autori sullo sfondo e di musiche d’accompagnamento è una santificazione che non genera nessun cortocircuito appassionato. È come se lo spettacolo di Bucci e Sgrosso fosse intento a declamare le fortune letterarie di un secolo morto dimenticando che esse sono sopravvissute non per il loro aspetto museale ma per la forza sempre viva del loro messaggio.