Recensione a cura di Mario Turco
Il film lo presenta quando è in rampa di lancio verso un ruolo di rilievo a livello nazionale, ben coccolato dai suoi colleghi che temono ed invidiano la fitta rete di rapporti, quasi mai limpidi, che si è saputo costruire nell'arco di una carriera tutta dedita al Partito. La prima scena è già indicativa dello stile di vita di questo vero e proprio clan. Con un bel long-take che s'appiccica dietro la testa di Lopez Vidal, egli passa con andatura tracotante dalla cucina di una solare struttura turistica, prende il piatto di gamberi rossi che avevano ordinati e li porta ai suoi chiassosi compagni di partito. Sorogoyen ne mostra subito la cafonaggine: tra le goliardiche prese in giro il gruppo non rinuncia comunque agli affari. Che sono imprudentemente loschi, derivati da appalti che non saranno mai chiariti del tutto ma che sapremo comunque basati su un'enorme truffa dei finanziamenti UE sull'agricoltura. Questo “regno” per sopravvivere ha bisogno di unità non solo nella fase lucrativa ma anche in quella d'inevitabile difficoltà giuridica. Ed invece quando sarà proprio il turno di Vidal di essere raggiunto da un'intercettazione che mette in luce l'evasione fiscale perpetrata egli, con una foga da animale braccato, non si rassegnerà all'onta processuale coinvolgendo nella sua caduta gli ex-colleghi.
Il film racconta proprio del difficilissimo tentativo da parte del protagonista di salvarsi dalle indagini. Facendo sì che lo spettatore sia messo al corrente solo delle azioni criminose del protagonista il film sceglie un punto di vista ardito. Se da una parte infatti la spietata presa d'atto della corruzione che affligge a tutti i livelli la politica spagnola lascia basiti, dall'altra si è portati ad simpatizzare con la lotta ferina del superbo personaggio interpretato con acido astio da un sorprendente Antonio de la Torre. Lo stile secco e pieno di dialoghi allusivi è giocato al rialzo tramite lo score elettronico di Olivier Arson che puntella le fasi di maggior tensione. Quasi insostenibile per il livello di angoscia mostrata è, ad esempio, la scena del recupero dei documenti nella villa della ragazza: il vulcanico Vidal mostra ancor di più le bassezze a cui è disposto ad arrivare pur di salvare la sua nefasta posizione. Il cinismo del regista raggiunge nel finale i propri picchi arrivando infine a svelare la sua posizione ideologica. Nello scontro verbale tra il politico e la giornalista Amaia Marin, quando il “così fan tutti” viene lanciato come arma di difesa ineluttabile alla sopraffazione insita nel genere umano, appare però un piccolo lampo che, se non di speranza, serva ad ammantare di dubbio perfino l'indomabile protagonista: “Si è mai fermato per un momento, nella sua vita, a pensare a cosa stava facendo”? Lo stacco nero sull'assenza di risposta di Vidal ci dice forse che la vera caduta del regno passa proprio da qui.