Recensione: Il cinema dello sguardo. Dai Lumière a Matrix, a cura di Federico Pierotti e Federico Vitella
Titolo: Il cinema dello sguardo. Dai Lumière a Matrix
Autore: Federico Pierotti, Federico Vitella (a cura di)
Editore: Marsilio
Pagine: 239
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo copertina: 14,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Con la recente pubblicazione nella collana Elementi de “Il cinema dello sguardo – Dai Lumière a Matrix”, a cura di Federico Pierotti e Federico Vitella la casa editrice Marsilio si conferma come punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati e gli studiosi di cinema. Ancora una volta edita un testo che, come scritto nell'Introduzione dai due professori universitari e curatori, “raccoglie quarantacinque analisi filmiche ispirate all'idea di cinema dello sguardo proposta da Sandro Bernardi in L'avventura del cinematografo. Storia di un'arte e di un linguaggio”. Il libro ha una doppia chiave di lettura: può essere contemporaneamente fruito dagli addetti ai lavori come oggetto di studio e raffronto ma anche, a causa della sua natura episodica, dai semplici cinefili. In quest'ultimo caso però, è richiesto un livello di competenza lessicale/grammaticale dell'arte abbastanza alto: se non è proprio necessario conoscere le varie correnti di pensiero epistemologiche enumerate dai due autori è quantomeno obbligatoria una solida conoscenza terminologica.
GLI AUTORI
Autore: Federico Pierotti, Federico Vitella (a cura di)
Editore: Marsilio
Pagine: 239
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo copertina: 14,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Con la recente pubblicazione nella collana Elementi de “Il cinema dello sguardo – Dai Lumière a Matrix”, a cura di Federico Pierotti e Federico Vitella la casa editrice Marsilio si conferma come punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati e gli studiosi di cinema. Ancora una volta edita un testo che, come scritto nell'Introduzione dai due professori universitari e curatori, “raccoglie quarantacinque analisi filmiche ispirate all'idea di cinema dello sguardo proposta da Sandro Bernardi in L'avventura del cinematografo. Storia di un'arte e di un linguaggio”. Il libro ha una doppia chiave di lettura: può essere contemporaneamente fruito dagli addetti ai lavori come oggetto di studio e raffronto ma anche, a causa della sua natura episodica, dai semplici cinefili. In quest'ultimo caso però, è richiesto un livello di competenza lessicale/grammaticale dell'arte abbastanza alto: se non è proprio necessario conoscere le varie correnti di pensiero epistemologiche enumerate dai due autori è quantomeno obbligatoria una solida conoscenza terminologica.
Il cinema dello sguardo – Dai Lumière a Matrix intende fare il punto sull'eredità critica di Sandro Bernardi, cui il libro è dedicato, dato che come esplicato sempre nell'Introduzione dai due autori “attraverso la ricchezza dei contributi che raccoglie, questo volume vorrebbe quindi mettere in evidenza lungimiranza e fecondità del lavoro di Bernardi, che si è confrontato con questioni ancora oggi di grande attualità nei film and media studies, negli studi visuali, negli studi cognitivi, nell'archeologia dei media e negli environmental studies”. Il volume si apre con il bellissimo ed inedito saggio dello stesso Bernardi che spiega con un fulminante attacco come il soggetto neutro e metastorico, autore di studi che si presuppongono oggettivi al massimo grado, in realtà non esiste: “Madame Bovary, c'est moi. La stessa cosa si potrebbe dire dell'analisi dei film e delle opere d'arte in generale”. Ed infatti tutto il libro è una personalissima ed eterogenea passeggiata sulla storia del cinema e su alcuni dei film che più hanno indagato il rapporto tra cinema e sguardo, non solo dello spettatore ma spesso anche del personaggio. Inutile stare a listare assenze e presenze: c'è da dire forse soltanto che nella raccolta c'è sicuramente poco spazio per il cinema commerciale e per quello non racchiuso tra Italia, Francia e Stati Uniti (con la doverosa presenza comunque di Bergman e Kurosawa).
Piace constatare come ogni singolo saggio si attesti su una qualità tecnica altissima: essendo stato scritto da accademici, ricercatori e studiosi del settore non c'è un singolo intervento raffazzonato o pleonastico. Si parte doverosamente con “Le vedute del Cinematografo Lumière”, di Pierre Sorlin che racconta di come i primi esperimenti di “fotografie in movimento” non siano imputabili solo ai due fratelli ma agli agenti di vendita sparsi per i quattro angoli del globo che avevano il compito di mettere sul mercato le rivoluzionare cineprese degli inventori del cinematografo. Si prosegue, restando sul tema dello sguardo, con il lavoro di Elena Dagrada che ricorda come il primo esperimento di soggettiva (invero piuttosto ingenuo) sia stato fatto da “Grandma's Reading Glass”, di George Albert Smith. Maggior compiutezza formale si ebbe in questo senso, come notato da Michele Guerra, con “La fuga”, di Delmer Daves che seppe utilizzarla in senso narrativamente efficace non temendo tra l'altro di nascondere agli occhi del grande pubblico per quasi la prima metà del film la presenza divistica di Humphrey Bogart. Quando si parla di sguardo del cinema e le sue innovazioni linguistiche non si può dimenticare il lavoro delle avanguardie dei primi del Novecento: “Coeur fidèle”, di Jean Epstein come indicato da Chiara Tognolotti non è solo il frutto del genio del regista francese ma si situa all'interno di un preciso percorso di ricerca sperimentale che dette vita al cinema moderno come lo intendiamo oggi.
Il vertice teorico di questa riflessione si ha con "L'uomo con la macchina da presa" di Dziga Vertov, probabilmente il cineasta più rappresentativo della corrente d'artisti che ha spinto sempre più avanti i limiti dell'immagine e del suo significato. Ne "Il cinema dello sguardo" non c'è spazio solo per le avanguardie ma anche per i grandi classici che hanno saputo ragionare con efficacia sul tema della visione. Molto gustosa in questo senso la rilettura che fa Adriano D'Aloia de "Lo squalo" di Steven Spielberg in cui denuncia il fatto che forse per la prima volta o comunque in maniera mai così pervasiva il nostro sguardo si sovrappone a quello del terribile cacciatore protagonista della pellicola. Forse il limite di questa straordinaria raccolta è che non c'è un saggio che esuli dal percorso accademico, un testo che re-inventi in maniera marcatamente ironica e non secondo i crismi della critica ufficiale uno dei 45 film trattati. Fermarsi inoltre al 1999 con “Matrix” delinea un preciso disegno antologico che esclude con fin troppa sufficienza almeno uno dei lavori esemplificativi di questo ventennio non avaro di capolavori. Fatta nota di questi peccati veniali la raccolta di Pierotti e Vitella deve essere un caposaldo di ogni cinefilo che si rispetti.
GLI AUTORI
Federico Pierotti è professore associato di Cinema e cultura visuale presso l’Università di Firenze. Ha pubblicato i volumi "La seduzione dello spettro. Storia e cultura del colore nel cinema" (Le Mani, 2012), "Un’archeologia del colore nel cinema italiano. Dal Technicolor ad Antonioni" (ETS, 2016) e "Diorama lusitano. Il cinema portoghese come archeologia dello sguardo" (Mimesis, 2018), oltre a numerosi studi sul cinema italiano, sul cinema portoghese e sul rapporto tra tecnologia e cultura visuale. Federico Vitella è professore associato presso l’Università di Messina, dove insegna Storia del cinema e Teorie del cinema. Ha scritto i volumi Geometrie dello sguardo. Contributi allo studio dei formati nel cinema italiano (2007, con Luca Mazzei) e Michelangelo Antonioni. L’avventura (2010). Per Marsilio ha curato l’edizione critica della commedia di Michelangelo Antonioni ed Elio Bartolini Scandali segreti (2012).