La recensione del film "Il delitto Mattarella", di Aurelio Grimaldi in uscita il 2 Luglio nelle sale
Recensione a cura di Mario Turco
“Il delitto Mattarella” parte quindi dai fatti accertati ed allo stesso tempo fornisce con convinzione la propria interpretazione di quelli mancanti. Un doppio registro quindi, d'inchiesta e di finzione che, come nel caso del revival di cinema politico che va da “Il divo” a “Romanzo di una strage”, non ha paura di gettarsi nelle fauci dell'agone pubblico. Grimaldi in questo senso è molto esplicito e riprende la tesi del libro omonimo da lui scritto qualche anno fa e pubblicato da Castelvecchi: pur non facendone mai il nome è chiaro che imputa il delitto di Piersanti Mattarella alla mano di Giuseppe Valerio Fioravanti, leader dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) e condannato anche per la Strage di Bologna. “Il delitto Mattarella” dal punto di vista cinematografico rimane proprio schiacciato da questa tesi ed imbastisce un racconto che a tratti ha il taglio televisivo della docufiction più impegnata. La scelta di non fare affidamento sulla classica cronologia degli eventi sembrava portare ad una reinterpretazione audiovisuale che avrebbe dovuto inglobare con naturalezza la componente giuridica. Anche il fatto che la sequenza della sparatoria di Via della Libertà ritorni una seconda volta dopo il racconto degli antecedenti storici e da lì quelli successivi è una scelta potente, molto importante dal visto della sceneggiatura. Grimaldi però non ne sfrutta appieno il potenziale per via del sacro fuoco dell'impegno civile di cui pervade ogni singola scena. Non che “Il delitto Mattarella” sia enfio di retorica o di scene madri (giusto un paio, tipo quella del gineceo familiare e del figlio che si trovano a sorridere per l'epifanica elaborazione del lutto), ma esso è appesantito in certe sue parti da un didascalismo forse indistricabile dal genere.
Bisognava infatti presentare allo spettatore disadorno di informazioni e perfino di contesto storico gli intricati intrecci tra mafia, destra eversiva, assessori truffaldini ed appalti truccati. E per farlo Grimaldi si affida a tre classici strumenti da manuale di sceneggiatura: i dialoghi esplicativi, il voice-off e le didascalie. Proprio quest'ultimo mezzo scade nell'abuso del finale: più di cinque minuti di sovrimpressioni che ricordano i destini di ogni singolo personaggio apparso nel film. Nonostante queste tare ed un budget esiguo che brilla solo negli esterni da cartolina (sì, ci sono i fichi d'india, il giallo grano e gli interni borbonici) della Film Commission Sicilia dalla quale l'opera è co-finanziata, “Il delitto Mattarella” riesce comunque a fornire un'originale versione della Storia. Che poteva benissimo essere un'altra se Piersanti Mattarella e Pio La Torre non fossero stati trucidati dalla mafia e dalla politica connivente. In tal senso è riuscitissima la scelta di mostrare Giulio Andreotti nelle sue accertate frequentazioni con i boss di Cosa Nostra e coi corruttibili membri della DC siciliana come una figura sempre silente, che non proferisce mai parola perché non ha nulla da obiettare agli interessi criminali che gli vengono sottoposti. La contrapposizione con Piersanti Mattarella è lapidaria: il Presidente della Regione pagò con la morte il niet molto forte dato all'appalto delle sei scuole di Palermo affidate a sei società diverse che avevano però la stessa sede a San Giovanni Jato e riconducibili tutte, per via dei soliti prestanome, all'imprenditore mafioso Rosario Spatola. Ecco perché Aurelio Grimaldi non potrà mai girare “Il delitto Andreotti” e a distanza di quarant'anni il suo “Il delitto Mattarella” è purtroppo di un'urgenza ancora dolorosissima.