La recensione dello spettacolo "Elettra - Tanta famiglia e così poco simili", di Andrea Baracco tratto dalla tragedia di Hugo Von Hofmannsthal in scena al Teatro Vascello fino al 3 Aprile

Recensione a cura di Mario Turco

In un panorama teatrale che continua a fare della sua tradizione millenaria il punto discriminate della sua arte rispetto alle altre, c'è invece un'avanguardia che si pone alla testa cercando un dialogo “ostinato e contrario” con le forme culturali di quest'epoca massmediale. Quando uno di questi innovatori, Andrea Baracco in questo caso, pone la sua infaticabile voglia di riscrittura audiovisuale al servizio di un adattamento ottocentesco di uno dei miti greci più famosi, il risultato è un testo ipermoderno in cui non è fondamentale conoscere le origini della costruzione – anche se saperlo fare inevitabilmente giova alla ricezione – e che è capace di porsi a quel crocevia di passato e presente chiamato futuro. Ecco allora che con “Elettra – Tanta famiglia e così poco simili”, produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello con il patrocinio di Forum Austriaco di Roma, in scena proprio al Teatro Vascello di Roma fino al 3 Aprile e che il regista civitese trae dall'omonima tragedia di Hugo Von Hofmannsthal, si ha un'opera che fa della stratificazione temporale ed artistica il punto di partenza per una riflessione sul mito oggi. 


Non solo quindi la tragedia sofoclea di Elettra, figlia della regina Clitennestra ossessionata dal ricordo della morte del padre Agamennone che prima anticipa, come una venefica sibilla, e poi aiuta a mettere in atto la cruente vendetta del fratello Oreste che ucciderà la madre ed il suo debosciato amante Egisto, ma soprattutto l'apparentemente sobrio rimaneggiamento ottocentesco dello scrittore austriaco rivisto alla luce del female gaze di quest'epoca. Baracco infatti accoglie alcuni suggerimenti di Hofmannsthal ed immagina la sua protagonista (Flaminia Cuzzoli, ispirata) come una specie di tardo-adolescente ribelle che a furia di rock, jeans ed urla ferine lotta contro l'uxoricida regina di Micene (Manuela Kustermann, in un ruolo che come facilmente preventivabile le dona magnificamente) e la pavida sorella Crisotemi (una Carlotta Gamba molto in parte con la sua fragilità da millennial) che, come emerge con grande potenza in uno dei dialoghi iniziali, per fuggire dal suo dolore sa solo immaginarsi come volevano i Greci di ogni tempo: madre. “Elettra – Tanta famiglia e così poco simili” però non piega la tragedia al politichese di tanti suoi coevi; il suo merito principale è di aver compreso già in fase progettuale l'attualità della scrittura sofoclea/hofmannsthaliana ed averla puntellata con alcune interessanti soluzioni visive e scenografiche. 

Ad Oreste, novità principale di questa riscrittura, viene tolta la parola: l'interprete Alessandro Pezzoli è una presenza rachitica e fantasmatica che deambula tra la “stanza del potere”, - che gli scenografi Luca Brinchi e Daniele Spanò significativamente addobbano con tende da macello – occupata da Crisotemi e Clitennestra ed il palco in cui la “dea della morte” Elettra legge poesie della suicida Silvia Plath, dialoga col videowall col defunto padre Agamennone e canta canzoni inglese su base elettronica quando le emozioni minacciano di sopraffare il suo già dilaniato animo. Sono proprio questi tre inserti le grandi novità di “Elettra – Tanta famiglia e così poco simili” che per il resto mantiene l'atto unico, l'assenza del coro ed il centro tematico sulla sua omonima protagonista. D'altronde, come notava lo stesso Hugo Von Hofmannsthal in una lettera ad un amico: “Se filologi, antichisti ecc. si preoccupano della conservazione dell’antico ad ogni costo, allora ci dovrebbe essere anche chi si preoccupa di preservare ad ogni costo ciò che è vivo”. La pièce diretta ed adattata da Andrea Baracco allora riesce in questa impresa fendendo le aspettative degli spettatori più smagati e confondendo quelli meno preparati, portando ad entrambi un pizzico del mai domo dramma degli Atreidi.

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