La recensione de "Dampyr", di Riccardo Chemello in uscita dal 28 Ottobre distribuito da Eagle Pictures

Recensione a cura di Mario Turco

Fino ad adesso in Italia soltanto la Groenlandia, la casa di produzione fondata da Matteo Rovere e Sidney Sibilia nel 2014, ha provato a dare una rinverdita industriale all’asfittico panorama cinematografico nostrano lanciandosi su prodotti seriali e di genere che potessero competere con quelli esteri ed allo stesso tempo, come non si faceva più da tempo, cercare perfino maggior gloria in campo internazionale. Nella filiera audiovisuale peninsulare dove ancora a farla da padrone sono quasi esclusivamente il circuito delle sale e dei film indipendenti, la Groenlandia ha deciso di puntare principalmente sul mercato delle piattaforme streaming provando a ritagliarsi qualche nicchia nei server infiniti di Netflix e Prime Video. Il maggior pregio di questa operazione è aver lanciato debuttanti di sicuro talento ed ottimo mestiere – Ludovico Di Martino per “La bestia” e Alessandro Celli per “Mondocane” – ma allo stesso tempo la sua tara è di aver provato a provincializzare senza rendere precipui (lo spaghetti western era un modo di raccontare l’epopea della frontiera che solo chi non l’aveva mai sperimentata poteva avere) quei meccanismi d’intrattenimento fieramente commerciali. Ecco che in questa rinnovata attenzione verso il grande pubblico crossmediale che riempie alternativamente divani e sale (a seconda dell’evento), arriva nei cinema dal 28 Ottobre “Dampyr”, di Riccardo Chemello, distante per fortuna dallo stile Groenlandia perché è distribuito da Eagle Pictures che lo ha anche prodotto. 


Basato su uno dei fumetti più importanti della casa editrice Sergio Bonelli, il film segna l'avvio dell'Universo Cinematografico Bonelli (piccolo inciso: molto bello il claim della casa di produzione che appare prima dei titoli di testa, mirabile riassunto animato che in 15 secondi scarsi evoca la folta schiera dei personaggi e delle storie bonelliane) che, sulla scia del duopolio statunitense DC/Marvel, vuole dare vita audiovisuale a progetti cinematografici e televisivi realizzati dalla Bonelli Entertaiment, nuova divisione della casa editrice fondata per far conoscere ad una nuova generazione l’enorme patrimonio della casa madre fumettistica. In questo caso, la scelta di partire da un protagonista relativamente giovane – 20 anni per gli standard Bonelli non sono tanti! – chiaramente riconoscibile dal pubblico nerd per la sua derivatività action/horror era potenzialmente rischiosa. La storia di Harlan Draka, che nel 1992 si aggira per i Balcani devastati dalla guerra civile – finalmente un set che riesce a mascherare il modesto budget di 15 milioni di dollari senza perdere un’oncia della sua caratterizzazione scenografica – turlupinando le poveri gente slave con un misto di esoterismo e ciarlataneria vampiresca, salvo improvvisamente scoprirsi davvero un dampyr, ovvero un figlio di un re della notte (la classe dei succhiasangue più potente) e di un’umana, per infine passare egli stesso da potenziale vittima a potentissimo cacciatore, era pericolosamente prossima a quella di tante origin story simili.


Il film di Chemello sin dal suo potente incipit non rifiuta i confronti con i mille epigoni di Dracula mostrando persino un’audacia epica – il padre che vuole uccidere il figlio maledetto perché l’unico che potrebbe superarlo in forza – che, al netto di qualche effetto speciale un po’ troppo televisivo, riesce bene a rendere su schermo il senso di questa nuova/vecchia avventura. “Dampyr” è infatti un ludico e lucido saggio sulle possibilità combinatorie dell’immortale viaggio dell’eroe e della sua improvvisata banda: un protagonista riluttante, un deuteragonista carismatico, un’ambigua e sexy collaboratrice, una perdita affettiva che dovrà far esplodere nel finale i poteri sommersi di Harlan. Ma il lungometraggio di Chemello, esordiente che bene bilancia la sua voglia di osare alla reverenza verso i diktat del classicismo bonelliano, riesce anche a superare l’ostracismo fandomico regalando agli appassionati delle tavole sequenze allo stesso tempo degne della carta stampata (gli scambi col rude Kurjak, le notturne apparizioni di Gorka) e perfino qualcosa in più (le scene di lotta per un comic-film italiano sono decenti). Forse l’unico appunto è sulla mancanza di quel sangue così evocato da tutti i personaggi ma qui la scelta di Bonelli di ottenere il bollino verde 6+ (adatto quindi anche ai bambini) risponde specificatamente alla scelta di marketing di attirare nuove masse di spettatori in sala. A differenza di Harlan Draka, non è col sangue che i figli uccideranno noi padri.

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