Recensione a cura di Mario Turco
Candidato all'Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2024 da parte della Germania, il lungometraggio del quarantenne regista tedesco in appena poco più di un'ora e mezza riesce a perdersi nei meandri di un racconto a metà tra thriller e denuncia che, questo sì che è davvero un miracolo, riesce ad essere inverosimile da qualunque parte lo si affronti. Siamo in una scuola media tedesca e Carla Nowak (Leonie Benesch, bravissima) è una professoressa trentenne di matematica e educazione fisica che affronta l'insegnamento con la passione e l'idealismo dei piccoli grandi pedagoghi che tanto bene fanno ai ragazzi di tutto il mondo. Da subito però vediamo come l'istituto, pur nella sua laccata perfezione progressista - perfino gli assorbenti gratuiti disponibili in segreteria! -, sia tarlato da ipocrisie ed eccessi coercitivi: i piccoli furti che si susseguono mostrano infatti i limiti della "tolleranza zero" della preside. Così i metodi polizieschi messi in atto da alcuni insegnanti, come la spinta al tradimento dei rappresentanti di classe e le vere e proprie "retate" durante le ore di lezioni ai danni degli studenti sospettati, mettono in crisi la giovane Carla che, accortasi che alcune di queste ladrerie avvengono in sala professori, smaschera il colpevole filmandolo con la videocamera del suo laptop. Ma questa denuncia di apparente civiltà borghese, fatta infatti per proteggere il piccolo Alì che era indiziato soltanto per le sue origini turche, metterà in moto una serie di eventi che causano la crisi dell'intero istituto scolastico e dei rapporti stessi tra insegnanti, alunni e genitori.
La sala professori è, detto nella maniera più semplice possibile, uno di quegli esperimenti audiovisivi che rimane inchiodato a terra dalla pesantezza del suo apparato teorico. Tutto teso a portare avanti l'assunto di base, ovvero le aporie del sistema scolastico di oggi che non ha ancora imparato a bilanciare i compiti di vigilanza con quelli più propriamente educativi, Çatak non da mai a nessuno dei suoi personaggi la libertà di respirare, limitandosi a muoverli come pedine all'interno di un thriller che, come accennato poc'anzi, ha cali di realismo davvero stridenti in un'opera che per il resto ne accarezza tutti gli stilemi (macchina a mano, unità di luogo, assenza di star attoriali). Ad azioni improbabili - l'unione "sindacale" di studenti di scuola media, la leggerezza di Carla nel rilasciare interviste proprio nel momento di maggior tensione, la ribellione diabolica di Oskar - seguono conseguenze ancora più assurde che servono soltanto a portare avanti la programmaticità di un discorso furbo e manipolatorio. Così quelli che sarebbero stati i cardini di una piccola indagine sulle falle del sistema di un medio istituto scolastico diventano genericissimi e aleatori atti d'accusa che non riescono mai ad acquisire la tanto agognata cifra metonimica a cui aspirano sin dall'inizio marchiato dall' in medias res. Restando sempre sulla cresta dell’evocazione, Çatak compila una silloge di problemi che provocatoriamente lascia aperta nel finale sospeso dando allo spettatore il piatto e populistico compito di specchiarsi nel calderone acritico che ha preparato. Così La sala professori si esaurisce nel giro di una rapida visione non tanto perché lascia inevasa la trascurabile domanda sull’identità del lestofante (comunque pavidamente suggerita in almeno un paio di passaggi) ma perché s’ostina a riflettere provocatoriamente sui difetti dei singoli e non sulle tare della collettività.