La recensione de "La favorita", il nuovo film di Yorgos Lanthimos al cinema dal 24 gennaio

Recensione a cura di Mario Turco

Era soltanto questione di tempo. Che il talento irrefutabile di Yorgos Lanthimos, regista greco autore tra l’altro di “The lobster” e “Il sacrificio del cervo sacro”, trovasse la quadratura del cerchio era un processo quasi inevitabile considerata anche la ricerca costante compiuta sul mezzo e la quasi ossessione creativa che l’ha portato in sala con ben tre film negli ultimi quattro anni. Con “La favorita”, in uscita nelle sale dal 24 Gennaio (“soltanto” cinque mesi dopo aver vinto il Leone d’argento e la Coppa Volpi
al festival di Venezia, misteri della distribuzione italiana) Lanthimos riesce infatti in una doppia operazione che fino ad adesso gli era sfuggita. Da una parte continua, anche correndo il rischio dell’auto-ghettizzazione, a connotarsi come cantore della crudeltà e di una visione pessimistica del genere umano, dall’altro però riesce finalmente a tagliuzzare le derive metafisiche dei suoi lavori precedenti giungendo finalmente ad espungerne il carattere allegorico. Non che il racconto simbolico in sé fosse stato finora il limite del suo cinema, è solo che esso era stato portato avanti con un certo moralismo intellettuale che ne aveva fatto l’unica pregiudiziale di un cinema comunque sempre potente ed epico.

La favorita” è la prima sceneggiatura della sua filmografia che Lanthimos non firma e la scelta di poggiarsi su una storia ambientata tra il XVII e il XVIII secolo scritta da Deborah Davis e Tony McNamara ci dice che probabilmente il talento del regista non sta nella pedante invenzione di storie ma nel dirigerne altre colorandole della sua poetica forte. Ampliando lo sguardo, dal nucleo familiare di “Il sacrificio del cervo sacro” a quello più stratificato della corte inglese alle prese con l’ennesima guerra contro i francesi, “La favorita” riesce a confermare la visione sostanzialmente nichilista dell’autore greco pur allargando le maglie della sua critica. Non è solo infatti il triangolo gineceo tra la regina Anna, la tesoriera Sarah e la nuova arrivata Abigail ad essere funestato da dispetti feroci, fango e vomito ma tutti i rapporti umani, che siano quelli del deputato d’opposizione Harley o delle domestiche nei confronti della dama caduta in disgrazia costretta a lavorare nelle loro cucine. Attraverso una sceneggiatura che non si vergogna di essere splendidamente abrasiva in alcuni punti (parolacce e sesso lesbico a corte!) il cinema elegante ed estetizzante di Lanthimos finalmente riesce a prendere il volo: forse è proprio l’ironia intellettuale il genere adatto per un cultore della tecnica registica come l’autore greco. 

La favorita” infatti continua le provocazioni estetiche precedenti in due direzioni tra loro complementari: da una parte l’uso insistito e parossistico dei fish-eye in un film in costume e dall’altra le stupende ma spesso onanistiche riprese in luce naturali che rimandano fin troppo esplicitamente al “Barry Lindon” di Stanley Kubrick. Tutta questa ambizione visiva riesce stranamente a non entrare in collisione e anzi riesce a stratificare un racconto narrativamente foriero di spunti tematici. Il principale, la lotta tra le due cugine Sarah e Abigail per essere la favorita della regina Anna, riesce mirabilmente a non cadere mai nelle trappole del femminismo alla MeToo. Le donne de “La favorita” vivono la loro appartenenza di genere con cognizione superando le barriere sociali del tempo e lottando esclusivamente per il Potere, senza piagnistei anti-patriarcali o rivendicazioni sui torti subiti. Il triangolo lesbo che si instaura è guardato freddamente per quello che è, un mezzo sessuale per scalare posizioni gerarchiche nel caso di Abigail o mantenere il predominio nel caso di Sarah. Piuttosto, la contemporanea presenza di forza e debolezza nella regina Anna non è imputato alla presenza delle ovaie ma è un cascame dovuto alla condizione di regnante impaurita dalle responsabilità e da una malattia debilitante come la gotta. “La favorita” è insomma il film della definitiva maturità di Yorgos Lanthimos che lo consacra definitivamente tra gli autori di punta della cinematografia mondiale.

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