Recensione: Taccuino di un allegro ubriacone, di Charles Bukowski

Titolo: Taccuino di un allegro ubriacone
Autore: Charles Bukowski
Editore: Guanda
Pagine: 324
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo copertina: 18,00 €


Recensione a cura di Mario Turco

Nel mondo delle lettere esistono epoche, movimenti, mode, manifesti, numi tutelari, cattivi maestri. E poi c'é Charles Bukowski. Lo scrittore statunitense rappresenta forse il primo e più efficace esempio di rockstar della scrittura, in grado di attirare masse di lettori con qualunque opera o scritto che ne racconti la sulfurea biografia. Se già in vita l’autore di “Storie di ordinaria follia” seppe sfruttare il successo che lo colse improvviso in tarda età, dal 1994 in poi, anno della morte, c’è stato
uno stillicidio continuo di poesie e racconti dal serbatoio di opere ancora non pubblicate. 


È per questo che ci siamo avvicinati con una nemmeno troppo velata diffidenza a quest'ultima raccolta di inediti "Taccuino di un allegro ubriacone" edita da Guanda quest’anno nella collana Narratori della fenice e tradotta da Simona Viciani. Il titolo italiano della raccolta lasciava adito a qualche sospetto di natura commerciale dato che forzava l’originale “The mathematics of the breath and the way. On writers and writing” (titolo del primo racconto ospitato, tra l’altro) in questo, più vicino foneticamente al quasi omonimo e preclaro “Taccuino di un vecchio sporcaccione”. Il libro è suddiviso in maniera netta in tre sezioni principali: racconti, introduzioni a recensioni, ed interviste. Sembrerebbe insomma un libro adatto ai completisti, a chi di un autore amato sceglie di conoscere qualunque parola vergata o rilasciata. Se non fosse Bukowski, sarebbe così. Ma “Taccuino di un allegro ubriacone” in mezzo a questa silloge inevitabilmente monca di un centro di gravità tematico lascia comunque emergere i motivi della grandezza dell’alcolico autore. Sono, come è giusto che sia data l’eccezionalità di Bukowski nel breve periodo, i racconti a catalizzare l’attenzione, sia quelli espunti dalle rubriche fisse che teneva per i maggiori giornali sia quelli pubblicati sulle riviste minori tanto bistrattate. Anzi, uno dei chiodi fissi che emerge da questa raccolta è proprio quelle verso il comodo anti-conformismo dei redattori dei piccoli giornali, rei di avergli negato per anni la pubblicazione favorendo voci inautentiche della poesia. “Oggi mi sono imbattuto in un tizio all’angolo, barba nera, mi ha chiesto 50 centesimi. Sono contento di non averglieli dati. Poteva benissimo essere un redattore di qualche rivista minore”. Commenti caustici come questo non devono però far pensare a un’acrimonia permanente perché il buon Bukowski non era in grado di portare astio per molto tempo (fattore probabilmente dovuto alla smemoratezza mai innocente del gran bevitore). 


Così allora nella sezione successiva, quella dedicata alle recensioni di colleghi-autori emerge forse una figura insospettata e cioè quella del critico letterario. Il giudizio impietoso verso i colleghi, redatto con la solita furia cinica e nichilista, lascia però emergere la sensibilità del lato più delicato dell’autore. Sebbene Bukowski non riesca mai a definire con chiarezza concetti troppo grandi come Arte e Poesia in questi sprazzi è evidente il tentativo di trovare anche nella gente tanto odiata un comune sentire basato sul rifiuto delle convenzioni (non solo letterarie) più fruste. Ad esempio il femminismo degli anni Settanta che da sempre lo ebbe nel mirino per lo stile quasi mai tenero con le donne è liquidato con un perentorio finto-semplicismo: “Il significato di tutte queste stronzate è che le donne vogliono comandare tutto il gioco invece dei soliti tre quarti”. In “Taccuino di un allegro ubriacone” le parti più noiose sono proprio le interviste finali dove lo scrittore a diversi giornalisti risponde con una chiarezza espositiva di cui solo il lettore della domenica poteva aver bisogno. Che, ad esempio, il forsennato autobiografismo della sua opera sia temprato da elementi finzionali o che l’aura maledetta sapientemente dosata nei racconti sia volutamente esasperata per cercare la più ampia attenzione possibile sono rivelazioni di un film visto almeno un migliaio di volte ad altre latitudini. Soltanto che la sincerità creativa di “un’urgenza creativa imbecille” la possedeva Charles Bukowski ed era questo, in fondo, la magia della sua scrittura.

L'AUTORE
Opere di Charles Bukowski (1920-1994) nel catalogo Guanda: Factotum, Donne, Taccuino di un vecchio sporcaccione, Confessioni di un codardo, A sud di nessun nord, Le ragazze che seguivamo, Post Office, Panino al prosciutto, Niente canzoni d’amore, L’amore è un cane che viene dall’inferno, E così vorresti fare lo scrittore?, Una notte niente male, Cena a sbafo, So benissimo quanto ho peccato, Ehi, Kafka!, Il crimine paga sempre, Ce l’hanno tutti con me, Una torrida giornata d’agosto, Mentre Buddha sorride, Una donna sulla strada, Sui gatti, Sull’amore, La campana non suona per te e Il meglio. 

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