Recensione: Tropicario italiano, di Fabrizio Patriarca

Titolo: Tropicario italiano
Autore: 
Fabrizio Patriarca
Editore: 66thand2nd
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 15,00 €


Recensione a cura di Mario Turco

“In definitiva mi è piaciuto molto, ma una vacanza con Fabrizio Patriarca forse non la farei”. Mirabile sunto del tipico commento internettiano di piattaforme social, questa opinione postata sul sito Goodreads ci sembra, anche in corrispondenza di una parte del testo similare, un sapido punto d'inizio per scrivere di “Tropicario italiano”, di Fabrizio Patriarca edito 66THAND2ND in accordo con la Grandi & Associati di Milano. Il personalismo dell'utente che da un libro ricchissimo come questo ricava al massimo un consiglio di viaggio è il perfetto esempio del turista (anche letterario) che l'autore del romanzo si diverte a sbertucciare nella sua terza opera. “Certe volte è così: esprimi il tuo senso della civiltà nel dileggio” - scrive ad un certo punto Patriarca nel lungo racconto in prima persona. Ed è a questa cifra stilistica che egli si abbandona con più piacere per descrivere il casellario degli orrori di questa epoca di viaggi consumistici, ridotti a rito mercantilistico da “fare” per spuntarli come si fosse all'interno di una lista della spesa.


Come scritto nella quarta di copertina è pur vero che “i luoghi sono quelli, favolosi (stando ai cataloghi), di un’estate infinita che parla la lingua automatica di spiagge ovunque bianchissime e acque implacabilmente turchesi”. Ma Patriarca descrive e analizza con grande ironia proprio la caduta del desiderio della scoperta di luoghi lontani a fronte di un laccato senso dell'esotico nel quale anche i mari tropicali devono sottostare alle forme culturali di chi vi si immerge dopo aver ascoltato i consigli delle agenzie di viaggi. “Tropicario italiano” è allora il racconto, suddiviso in capitoli geografici, di alcuni di questi reportage personalistici compiuti quasi, come scrive l'autore stesso, secondo l'ottica del debunker che vuole vedere e smontare dal di dentro le narrazioni dei luoghi più turistici al mondo. Colpisce da subito la sincerità di Patriarca che non nasconde minimamente nel primo capitolo la sua posizione privilegiata dovuta al fatto di essere figlio di un dirigente Alitalia grazie alla quale ha potuto sin da piccolo scorrazzare in giro per il mondo. La rivendicata difesa della compagnia di bandiera a fronte dei numerosi salvataggi a spese del contribuente è commovente per la sua mancanza di tatto. Questa esuberanza autoriale viene per fortuna proposta anche nel resto del libro marcando con la sua forte impronta una letteratura, quella odeporica, in cui l'Italia ha eccellenti esempi (richiamati anche nel testo), da Arbasino a Manganelli, da Gozzano a Moravia. È proprio in questo solco che Patriarca vuole inserirsi e il suo stile è diretta conseguenza di questa scelta. Perché, sia chiaro, “Tropicario italiano” è scritto con una lingua piena di arzigogoli ma pregnissima, semanticamente e sintatticamente emanazione di un rivendicato dottorato in Italianistica in cui abbondano i riferimenti colti e attraverso il quale fare riferimento al meglio della produzione letteraria nostrana e mondiale: “è il criterio filologico della lectio difficilior, scegliere sempre il complicato al posto del semplice, l'astruso per l'ovvio, preferire l'enigma alla spiegazione”. 


Così la bruttezza di Bangkok viene descritta con un cinismo molto intelligente ma sempre collegato al reale di ciò che avviene sulla canea delle sue strade, dalla nota prostituzione minorile agli immancabili traffichini che vendono di tutto in una metropoli fondamentalmente molto povera. Anche il capitolo “Rassegnarsi ad Abu Dhabi” descrive con sarcasmo i paradossi consumistici della capitale degli Emirati Arabi Uniti, con l'impianto sciistico costruito nel deserto, i suoi infiniti mall e il più grande Ferrari Store del mondo (al quale l'autore ammette comunque di aver portato le figlie). Ma il pezzo migliore del libro è “In India con Dibba. Una fantasia”, dove lo scrittore romano immagina di viaggiare con Alessandro Di Battista, smontando una per una tutte (ma proprio tutte!) le sue velleità da traveller impegnato socialmente. Qui il politico diventa chiaramente l'epitome di quel modo social e massificante di intendere l'idea del viaggio di cui nel resto del libro Patriarca ha evidenziato le tare. Una chiosa finale perfetta per un Tropicario italiano ancora ed eternamente figlio della crasi tipicamente peninsulare tra tropico e bestiario.

L'AUTORE
Fabrizio Patriarca è nato a Roma e vive su una spiaggia ligure. Ha pubblicato due saggi: Leopardi e l’invenzione della moda (Gaffi, 2008, premio Cardarelli per l’Opera prima di critica letteraria) e  Seminario Montale  (Gaffi, 2011), e tre romanzi, Qualcosa abbiamo fatto (Gaffi, 2012), Tokyo transit (66thand2nd, 2016), L’amore per nessuno (minimum fax, 2019). Lavora per WestEgg Editing & Oltre.

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