Recensione: De Vincenzi e il mistero di Cinecittà, di Augusto De Angelis

Titolo: De Vincenzi e il mistero di Cinecittà
Autore: Augusto De Angelis
Editore: Cento Autori

Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2020

Prezzo copertina: 13,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

“Umanissimo come il Maigret di Simenon, romantico come il Marlowe di Chandler, intellettuale come il Vance di Van Dine, eppure caparbiamente italiano”. Scriveva così quel gran cervello di Oreste Del Buono trovando nella asciutta limpidezza di questa definizione referenziale piena e riuscita sintesi del personaggio del commissario De Vincenzi ideato dalla penna di Augusto De Angelis. La casa editrice Cento Autori continua a ripubblicare alcune delle avventure del padre del giallo italiano proponendo la prima escursione romana del famoso personaggio meneghino in De Vincenzi e il mistero di Cinecittà, pubblicato in prima edizione nel Marzo 2020 con una succinta prefazione di Carmine Treanni, curatore della collana Mistery e Giallo. Speriamo che questa ondata di ritorno, dopo l'omonima serie Rai uscita nel'74 con l'immarcescibile Paolo Stoppa nei panni del protagonista, sia cavalcata con entusiasmo dal grande pubblico perché l'accorto mestiere di De Angelis può ancora insegnare tanto alla legione dei suoi nipotini peninsulari di genere.


Scrittore attivo nel ventennio fascista, De Angelis pubblicò una ventina di romanzi polizieschi che andarono incontro alle censure del regime, avverso alla narrazione incentrata su crimini e criminali di casa nostra. Figura artisticamente eclettica (attivo anche in teatro e nei giornali), l'autore pagò con il carcere alcuni suoi articoli usciti per “La Gazzetta del popolo” per infine morire in seguito alle percosse di un repubblichino nel 1944 dopo un diverbio. In questo De Vincenzi e il mistero di Cinecittà De Angelis riesce ad aggirare i divieti fascisti ricorrendo al collaudato stratagemma dell'esotismo straniero. Ambienta quindi la vicenda nella Hollywood sul Tevere immaginando che gli autori dei delitti ed i personaggi più repellenti che fanno parte della produzione internazionale dell'Acidalia siano statunitensi o russi. Ma non bisogna pensare che questo obbligo strutturale faccia precipitare il romanzo nel girone dei mestieranti senz'anima perché il commissario De Vincenzi è davvero il prototipo migliore della via italiana al thriller. Nella disputa interna al genere tra il conservatorismo della tradizione anglossassone, verticalizzato sulle sbalorditive capacità razionalistiche del detective (Sherlock Holmes, Hercule Poirot) e l'innovazione portata avanti dagli statunitensi, orizzontalmente centrata sull'azione dura e pura (Sam Spade, Philip Marlowe), il nostro Paese ha scelto una terza via per una volta davvero riuscita. Così scriveva lo stesso De Angelis a proposito del suo stile: “Io mi sono proposto di fare romanzi polizieschi in cui le persone, vivano secondo natura, in cui la vittima, il colpevole, il detective abbiano muscoli sangue cuore e anima”. 


In De Vincenzi e il mistero di Cinecittà a sorprendere da subito è l'empatica attenzione narrativa verso i propri personaggi. A partire dal protagonista, renitente al trasferimento nella Capitale per i successi lombardi e che mal inizialmente s'adatta al differente stile di vita. De Angelis non si siede comodamente sui luoghi comuni marcando piuttosto con piccoli tocchi gli approcci del commissario verso colleghi e superiori. Particolarmente riuscita da questo lato la caratterizzazione del questore, uomo dal viso irrimediabilmente triste a causa della sua enorme e superflua cultura umanistica che viene prontamente apprezzata da De Vincenzi, anch'egli fautore di raffinate letture. A marcare il protagonista è una sensibilità psicologica verso la cerchia degli indagati che sfiora spesso la dolenza vera e propria. Egli comprende i vizi umani, non li giudica con l'occhio spesso sferzante delle forze dell'ordine ed addirittura se ne fa carico provando a mitigare le necessarie misure repressive. Non che questo gli impedisca però di svolgere con intelligenza il proprio lavoro: nel finale saprà farsi interprete del carico deduttivo-inferenziale richiestogli. De Vincenzi e il mistero di Cinecittà ha l'andamento ipnotico dei migliori gialli polifonici, esemplificato dal riuscito escamotage di dare sfogo ai pensieri dei diversi personaggi nell'ottavo capitolo. Di fronte a questa sarabanda di possibili colpevoli e alle false piste giustamente disseminate ad emergere ancora una volta è la capacità d'ascolto/visione del commissario. Tenero ma mai arrendevole, pacato ma energico De Vincenzi non cede mai al fascino della violenza dell'epoca. Che invece si abbatté con cieco furore sul suo autore e per cui la Storia e la Letteratura non avranno mai pietà.

L'AUTORE
Augusto De Angelis è il padre del giallo italiano. Nato a Roma nel 1888 e morto a Bellagio nel 1944, in seguito alle percosse subite per l’aggressione di un fascista, è noto per i romanzi con protagonista Il commissario De Vincenzi, portato in televisione negli anni Settanta da Paolo Stoppa per una serie di sceneggiati. Tra i suoi libri gialli ricordiamo Il mistero delle tre orchidee, L’Albergo delle Tre Rose, Il mistero di Cinecittà, Il candeliere a sette fiamme, Il banchiere assassinato. Cento Autori ha già pubblicato i romanzi Robin agente segreto (2018) e Le sette picche doppiate (2019).

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