Recensione: L'ottava vita (per Brilka), di Nino Haratischwili

Titolo: L'ottava vita (per Brilka)
Autore: Nino Haratischwili
Editore: Marsilio
Pagine: 1148
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 24,00 €


Recensione a cura di Eleonora Cocola

Sui membri della famiglia Jashi aleggia una maledizione: una ricetta segreta tramandata nei secoli, croce e delizia di chi la assaggia, una cioccolata così speciale da donare sollievo immediato da qualsiasi sofferenza, ma che attrae le peggiori sciagure su chi la assaggia. Del resto siamo in Georgia, l’antica Colchide, la terra del Vello d’oro e della maga Medea: la magia è di casa. Ma siamo anche nell’Unione Sovietica, e in pieno Novecento: un secolo rosso di sangue, di rivoluzioni, di guerre, di dittatura; un secolo di fame e violenze inaudite. La storia della famiglia Jashi si snoda lungo l’intero secolo, e viaggia tra Tbilisi, Mosca, San Pietroburgo, Londra e Berlino. E Vienna, una Vienna sognata e mai raggiunta. Comincia con la matriarca, la prima donna della famiglia di cui si ha memoria, Anastasia, nata nel 1900 e si arriva fino all’ultima nata, Brilka, classe 1993. Nel mezzo, le vicende dei numerosi membri della famiglia Jashi si intrecciano con la Storia della Russia sovietica, in un racconto monumentale, allo stesso tempo romanzo storico e saga famigliare.


Secondo Der Spiegel L’ottava vita è il libro dell’anno, e Nino Haratischwili è in long list per il Man Booker Prize. E a ragione: definire questo romanzo bellissimo è riduttivo. Partiamo dalla costruzione: l’autrice racchiude intelligentemente il racconto in una cornice, affidandolo alla voce di una delle ultime donne Jashi – Niza, e dandogli anche una destinataria: sua nipote Brilka, alla quale viene restituita la storia delle sue antenate; ed è facile per il lettore immedesimarsi nell’affettuoso “tu” con cui la zia si rivolge alla nipote, dandogli la piacevole impressione di essere messo a parte di una storia privata. Le vicende sono quindi raccontate dal punto di vista di una donna contemporanea che ha ricostruito minuziosamente la storia della sua famiglia: il tema della memoria diventa centrale, fra i racconti di Anastasia, memoria storica della famiglia, i fatti storici e le supposizioni della narratrice – che laddove i ricordi non arrivano utilizza l’immaginazione. Un punto di vista giustamente femminile per raccontare le storie delle donne Jashi, le cui personalità si stagliano fortissime mentre combattono con i denti e con le unghie contro un secolo fatto di soprusi e mancanza di libertà, per conquistarsi la loro libertà e la loro forza. Non mancano i personaggi maschili, uno su tutti Kostia, il figlio di Anastasia; ma per quanto anch’egli sia descritto con grande complessità, la sua figura impallidisce se non è in relazione con una delle donne della sua famiglia, e vive principalmente dei rapporti complicati e per lo più conflittuali con sua madre, sua sorella, sua figlia, e le sue nipoti. Questa struttura da saga famigliare prettamente femminile, unita al velo di magia che aleggia tra le pagine (la cioccolata, ma soprattutto i morti che qualche volta tornano a fare visita a chi è rimasto), mi ha ricordato le grandi penne iberiche, i Cent’anni di solitudine dei Buendìa, ma soprattutto le donne che abitavano La casa degli spiriti di Isabel Allende.


A questo si aggiunge un’altra componente: la Storia dell’Unione Sovietica, grande protagonista del romanzo russo di tolstojana memoria, che qui si intreccia coi personaggi, li avviluppa e qualche volta li inghiotte inesorabilmente. I fatti storici e i personaggi che ne furono protagonisti – qualche volta non menzionati esplicitamente, ma sempre riconoscibili – influenzano le vite di tutti i personaggi, e talvolta le distruggono. Terribili e strazianti le pagine ambientate durante la dittatura comunista: i gulag, i campi di concentramento, l’aborto forzato come strumento di tortura, l’esilio. Ma anche nel raccontare le vicende più tragiche, il tono non scade mai nel melodrammatico; e nel suo essere misurato commuove ancora di più. Allo stesso modo, senza inutili sentimentalismi e con una delicatezza meravigliosa, l’autrice riesce a parlare dell’amore in ogni sua possibile forma. L’amore, che qui è l’unica forza che salva e redime anche dalle tragedie più oscure, che intreccia fra loro le vite dei personaggi sopravvivendo ad ogni rivoluzione, ad ogni guerra, ai gulag, agli stupri, alle mutilazioni, agli aborti, a tutto. Anche alla morte. L’ottava vita non è mai pesante, nessuna riga è di troppo: si tratta di une di quelle rare opere la cui bellezza è così sublime e struggente che è difficile staccare gli occhi dalle sue più di 1100 pagine; uno di quei romanzi i cui personaggi sono talmente vividi che è impossibile non continuare a pensare a loro anche dopo aver chiuso il libro.


L'AUTRICE
Nino Haratischwili è nata a Tbilisi nel 1983 e oggi vive ad Amburgo. Scrittrice, drammaturga, regista teatrale, già due volte finalista al Deutscher Buchpreis, il più prestigioso premio letterario tedesco, con L’ottava vita ha scalato le classifiche di mezza Europa e ottenuto importanti riconoscimenti, tra i quali l’English Pen Award.

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