Titolo: Brigantaggio italiano. Considerazioni e studi nell'Italia unita
In questo overload informativo che caratterizza l'attualità dei nostri tempi digitali spiace constatare come anche la Storia sia continuamente sottoposta ad un revisionismo che, nato per allargare la discussione alle minoranze secolarmente escluse dai processi decisionali, si sia allargato a sedicenti professionisti della controinformazione che approfittano della larga massa di informazioni per modellare fatti acclarati alle loro tesi precostituite. Occorre quindi applaudire gli studiosi che continuano indefessamente a difendere con forza e cognizione intellettuale la Storia, soprattutto quella recente, da questi tentativi di riscrittura interessati. In particolare, il libro dello storico Marco Vigna “Brigantaggio Italiano. Considerazioni e studi nell’Italia unita”, pubblicato dalla sempre attenta casa editrice Interlinea nella collana Studi di Storia dall'antichità all'età contemporanea – i cui testi si avvalgono del sistema di valutazione double-blind peer review effettuato all'interno di un comitato scientifico a trazione accademica – vuole fare il punto sulla dirimente questione socio-politico del brigantaggio nell'Italia post-unitaria. Dirimente perché, sulla scorta della rilettura del Risorgimento che partendo proprio dalla spoglio dell’enfasi patriottica è giunta all’altro eccesso di una presunta dittatura sabauda, anche la questione del brigantaggio è oggetto attualmente di uno stravolgimento da parte dei, bontà loro, neo-borbonici.
Autore: Marco Vigna
Editore: Interlinea
Pagine: 560
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 28,00 €
Editore: Interlinea
Pagine: 560
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 28,00 €
Recensione a cura di Mario Turco
Così ecco che “Brigantaggio Italiano. Considerazioni e studi nell'Italia unita” si apre con la prefazione del più mediatico degli storici italiani, Alessandro Barbero, che avverte da subito il lettore sull’importanza del corposo volume di Marco Vigna: “La percezione del brigantaggio meridionale postunitario nella società italiana odierna è oggetto di un'inquietante operazione di stravolgimento della realtà e reinvenzione fraudolenta della memoria, che stravolge il ricordo di quella vasta e terribile ondata di violenza, le attribuisce intenzioni e motivazioni in gran parte immaginarie, e impedisce di ricavarne insegnamenti utili per capire davvero le contraddizioni irrisolte del nostro paese”. E più avanti: “La memoria e anzi la celebrazione del brigantaggio sono ostaggio di un movimento neoborbonico che le inserisce in un quadro consolatorio del tutto inventato, col risultato di atrofizzarne proprio le potenzialità di critica sociale”. Qual è allora la tesi che il libro porta avanti? La troviamo riassunta esemplarmente nella quarta di copertina: “Che cosa fu il brigantaggio postunitario se non un fenomeno essenzialmente criminale, fatto di violenze ed efferatezze che colpirono innanzitutto le popolazioni dell'Italia meridionale? Eppure ancora troppo frequente è la rappresentazione del brigante come un moderno Robin Hood, quasi un romantico ribelle che lotta contro la povertà e l'insensibilità di uno stato oppressore e lontano”. Nel primo capitolo Marco Vigna rintraccia le cause di questa persistente distorsione facendo il riassunto della varietà interpretativa che la questione ha avuto tra gli studiosi: dai contemporanei come Carlo Capomazza che, forse a causa proprio della vicinanza temporale, scrissero che dopo “un breve periodo di brigantaggio politicizzato, esso scomparve presto sostituito da un altro puramente criminale”, fino alla rilettura marxista di Antonio Gramsci che puntava il dito sul carattere anti-autoritario del fenomeno.
Già da questa breve ma approfondita analisi bibliografica l'autore fa emergere la tesi che sosterrà, corredando di un numero impressionanti di fonti primarie e secondarie, nel corso del libro: questo cosiddetto “grande brigantaggio” (per distinguerlo da quello che sin dal Medioevo angustiava la nostra penisola, ed in particolare il Meridione) fu un fenomeno prettamente delinquenziale, ammantato soltanto dall’alone legittimista verso i borbonici in esilio. Col secondo capitolo Vigna infatti comincia una lunga - ed in alcuni estenuante, si veda l'elenco di tutti i 164 casi d’imputazione della banda Franco! - disamina delle malefatte compiute dalle piccole-medie bande di briganti che scorrazzavano per le campagne del Meridione d’Italia: stupri, furti, rapine, estorsioni ed omicidi soprattutto ai danni della povera gente. Come sottolinea infatti l'autore “le bande esibivano un disinteresse quasi totale per il conflitto con il Regio esercito, evitando quanto più possibile i suoi reparti”, sconfessando quindi gli storici che credevano ai loro (deboli e rarissimi) moniti rivolti contro lo Stato occupatore. Nel capitolo successivo il libro analizza alcuni aspetti precipui della sub-cultura brigantesca, enfatizzandone gli aspetti violenti e truculenti: è il caso, ad esempio, dell’antropofagia praticata da molti suoi esponenti apicali che viene descritta con dovizia di particolari grandguignoleschi. Molto chiarificatore è anche il segmento successivo che analizza attraverso documentazione dell’epoca proveniente dagli archivi di Stato (in particolare Torino, dove hanno ancora sede gli scartafacci della burocrazia sabauda) il collegamento tra il brigantaggio e le tre mafie meridionali. Vigna non concorda con la teoria della filiazione diretta di camorra, mafia e ‘ndragheta dal brigantaggio postunitario e nemmeno con la suddivisione geografica (la mafia radicata in territorio urbano contrapposta al ruralismo dei briganti) fornendo anche in questo caso una robusta dose di fatti a corredo della sua teoria. Forse il difetto principale di “Brigantaggio Italiano. Considerazioni e studi nell’Italia unita” è proprio la non tanto segreta voglia di diventare il testo definitivo sull'argomento: Marco Vigna, nell'arco della sua trattazione, ripete in continuazione gli stessi concetti contornandoli ogni volta di dichiarazioni e fonti dirette. Una lieve agilità espositiva in più avrebbe reso il suo lavoro capace di girare non solo negli ambienti accademici ma anche negli scaffali di lettori pronti a farsi avvincere dalla narrazione più avvincente: quella della verità.