Recensione: Memorie di un giovane medico, di Michail Bulgakov

Titolo:
 
Memorie di un giovane medico
Autore: Michail Bulgakov 
Editore: Neri Pozza
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 15,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Di quella particolare genia di scrittori-medici, spesso con somma faciloneria apprezzati perché capaci di “usare la penna come un bisturi” (come se fossero chirurghi), è interessante vedere come l'esercizio del mestiere abbia influenzato le loro scelte letterarie. Da Anton Čechov, ad Arthur Conan Doyle fino a Louis-Ferdinand Céline - solo per restare al primo Novecento – per questi autori l'essere medico in giovane età ha forgiato una visione del mondo patologica che si è mantenuta quasi intatta in età matura, quando tutti hanno abbandonato lo studio delle malattie fisiche per concentrarsi su quelle della parola scritta. Ma probabilmente lo scrittore che più ha approfondito il legame tra medicina e letteratura è stato Michail Afanas'evič Bulgakov, come si può vedere dal suo “Memorie di un giovane medico”, pubblicato da Neri Pozza in un'agevole edizione – corpo di caratteri molto piccolo come non si vedeva da tempo, pochissime note a margine, assenza di biografia, una precisa ma abbastanza breve postfazione - con la traduzione di Serena Prina. 


Composta da nove racconti, questa raccolta fu pubblicata postuma per la prima volta assieme in un volume nel 1963 grazie alla meritoria alacrità di Elena Šilovskaja, terza moglie dello scrittore russo, a causa della nota censura che Bulgakov subì in vita dal regime russo e da Stalin in particolare. “Memorie di un giovane medico” è un libro dichiaratamente autobiografico dato che l'autore fu egli stesso studente con onore alla facoltà di Medicina e già nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale fece le sue prime esperienze sul campo come volontario presso l’ospedale di Saratov, dove accoglieva i feriti giunti dal fronte. L’urgenza di personale sanitario fece sì che si laureasse in anticipo nel 1916, quando i medici con più esperienza venivano mandati al fronte e sostituiti dai neolaureati nei piccoli ospedali di provincia. In particolare, le prime sette novelle della raccolta raccontano diverse esperienze occorse al giovane dottor Bomgard, appena uscito dall’università e che viene mandato a dirigere un piccolo ospedale sperduto nel villaggio di Nikol'skoe, situato nel nevoso governatorato di Smolensk. L'impatto sul campo, acuito dalla tipica diffidenza campagnola (in questa distanza sociale s'intravedono i primi segni dell'ironia di Bulgakov che sarà preminente nelle opere future come “Uova fatali”) per un giovane medico è tremendamente gravoso di responsabilità: la direzione dell'intero ospedale e di ogni scelta sanitaria cade sulle spalle di quello che è sostanzialmente un neofita dell'arte medica. Un bellissimo riassunto di questa sensazione si trova nello straordinario primo racconto, “L'asciugamano nel galletto”, che attraverso l'uso della prima persona e di uno stile paratattico rende bene l'agitazione di un dottore costretto perfino ad assumere pose da vegliardo per sembrare ai pazienti più autorevole: “Tutto s’era illuminato nel mio cervello e all’improvviso, senza bisogno di manuali, senza consigli, senza aiuto, raggiunsi la certezza – che in quel momento compresi fu ferrea – che adesso mi sarebbe toccato, per la prima volta nella mia vita, praticare un’amputazione su una creatura che s’andava spegnendo. E che questa creatura sarebbe morta sotto i ferri. Ah, sotto i ferri sarebbe morta. Non ha più sangue, infatti! Per dieci verste le è colato via dalle gambe sminuzzate e non si sa nemmeno se adesso prova qualcosa, se sente. Tace. Ah, ma perché non muore? Che mi dirà il padre impazzito?”. 


Ognuno dei racconti successivi si sofferma su un particolare caso degno di nota, vuoi per la difficoltà (la tracheotomia di “Gola d'acciaio”), vuoi per il trattamento di malattie esecrate socialmente (la sifilide de “L'esantema stellato”). In mezzo a questo ritrovato archeologico di medicina del secolo scorso – canfora, belladonna, chinino e senapismi elargiti in gran quantità come miracoli della tecnica e che non trovano nemmeno spazio nei manuali moderni – le ultime due opere di “Memorie di un giovane medico” segnano una rottura tematica con quello che viene prima. Il celebre “Morfina” è infatti uno spietato diario di un morfinomane, il dottor Poljakov che, come fu per lo stesso Bulgakov, diviene dipendente dalla droga dopo averla provata per lenire un'infezione. Ma se lo scrittore russo riuscì ad uscire dalla sottomissione chimica qui egli esorcizza il suo travaglio facendo suicidare lo sfortunato protagonista del racconto. In “Io ho ucciso” che chiude questa silloge, invece, l'atmosfera si fa ancora più cupa. Il racconto nel racconto del dottor Jasvin che, con franchezza liberatoria, dissotterra un episodio “inconfessabile” del suo passato dimostra come in qualunque rivoluzione, anche quella “giusta” dei bolscevichi, ai medici è permesso rompere il giuramento di Ippocrate ed uccidere il proprio oppressore.

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