Recensione: Mi chiamo Lily Ebert e sono sopravvissuta ad Auschwitz, di Lily Ebert e Dov Forman

Titolo:
Mi chiamo Lily Ebert e sono sopravvissuta ad Auschwitz
Autore: Lily Ebert, Dov Forman
Editore: Newton Compton
Pagine: 320
Anno di pubblicazione: 2022
Prezzo copertina: 9,90 €

Recensione a cura di Daniela

Lily Ebert è nata e cresciuta a Bonyhád, insieme alla sua numerosa famiglia appartenente alla vasta comunità ebraica che si era insediata in Ungheria quasi un secolo prima. L'educazione religiosa della famiglia è molto rigida, ma questo non impedisce a Lily a alle sue sorelle e fratelli di vivere un'infanzia felice e spensierata, al riparo dalle ingiustizie e le discriminazioni che pian piano si estendono con crescente prepotenza attorno a loro. Quando durante la seconda guerra mondiale, le leggi razziali iniziano ad intaccare la libertà degli ebrei, Apu, il padre di Lily, decide di mantenere la sua famiglia all'oscuro di tutto, nonostante gli eventi che si susseguono nella vita di tutti i giorni tendono a mandare forti segnali di un cambiamento in atto, segnali inequivocabili, persino per una ragazzina di 17 anni.


Nel 1942 una malattia porta via suo padre e la famiglia, cerca di sopravvivere a questo lutto improvviso, ma ben presto si trova costretta ad affrontare la realtà che l'amato padre aveva disperatamente tentato di celare agli occhi dei suoi cari nel tentativo di proteggerli. Solo pochi mesi dopo infatti, Anyuka, la madre di Lily, le sorelle e il fratello minore vengono rinchiusi nel ghetto minore per essere infine deportati nel campo di concentramento di Auschwitz- Birkenau. Dopo un viaggio inumano, al limite della sopravvivenza, Lily e i suoi familiari arrivano ad Auschwitz completamente stremati ed affamati, ma la vista di ciò che li circonda risulta di gran lunga più agghiacciante di qualsiasi aspettativa. L'arrivo al campo, segna il giorno in cui Lily dice addio per sempre alla madre, il fratello e la sorella, ma questo lei e le sue sorelle, René e Piri, lo scopriranno solo tempo dopo. I mesi passano e la vita scorre via dei loro corpi, ormai emaciati e fragili, a pari passo con lo svuotamento dell'animo. La vita dei prigionieri è appesa ad un filo sottilissimo, tenuto insieme dallo spirito di sopravvivenza e dalla volontà di restare comunque unite, anche durante le frequenti selezioni, gli spostamenti nelle varie mansioni e in altri campi di lavoro, Lily e le sue sorelle, riescono a restare unite, fino al giorno della liberazione da parte degli alleati. L'inizio di una nuova vita in Svizzera, il trasferimento in Palestina ed infine una possibilità di salvezza in Inghilterra, sono tappe inevitabili nella vita di Lily, che spogliata da ogni punto di riferimento ha dovuto reinventarsi e tornare a vivere più e più volte, prima di trovare un senso di pace e soprattutto di forza, iniziando a raccontare tutti gli orrori vissuti a causa dell'antisemitismo e della follia umana, senza mai dimenticare le proprie origini e la voglia di vivere.


La genuinità del racconto di Lily, narrato in prima persona, suscita immediata empatia nel lettore che viene risucchiato letteralmente all'interno della sua storia, ripercorrendo tutte le tappe che hanno portato alla deportazione ed in seguito, per i sopravvissuti, alla volontà di ripartire da zero, senza casa, senza radici, senza nemmeno un'identità, quella che Lily e le sue sorelle, hanno tentato di ricostruire con tutte le loro forze. La narrazione avviene in due spazi temporali differenti, che si amalgamano tra loro, completandosi a vicenda, per fornire al lettore tutte le risposte di cui ha bisogno, andando a colmare ogni singola curiosità. La vita di Lily e quella del popolo ebraico, si configurano come un viaggio struggente attraverso la sofferenza, dove la fame costante e gli orrori a cui sono stati sottoposti, li hanno spogliati di ogni emozione. Perdere tutto, significa anche percepire la realtà che ti circonda in maniera più marcata; essere considerata un numero e non una persona, ti porta a stupirti nel ricevere una gentilezza, così per Lily, dopo la liberazione, la lingua madre viene percepita come senso di appartenenza ad una famiglia e dopo tanti anni rinchiusa nel suo dolore, ripercorrendo i propri passi per varcare, da persona libera, la soglia di quella che fu la sua prigione, Lily sente crescere dentro la consapevolezza di avercela fatta, di essere sopravvissuta al male, per diventare la testimonianza vivente di ciò che è accaduto nei campi di sterminio creati dai nazisti.

Lily Ebert è una sopravvissuta all’Olocausto. Dopo essere stata deportata ad Auschwitz dall’Ungheria, ha assistito alla morte di sua madre, di sua sorella e suo fratello minori. Nel 1945, dopo la liberazione da parte delle forze alleate, un soldato le consegnò una banconota con un messaggio di speranza. Oltre settant’anni dopo, con l’aiuto del bisnipote Dov Forman e dei social network, è riuscita a rintracciare quel soldato. Grazie al suo infaticabile lavoro di testimonianza degli orrori del passato e alla straordinaria capacità di rivolgersi a un pubblico giovane, ha raggiunto il traguardo record di 1,5 milioni di follower su TikTok (www.tiktok.com/@lilyebert).

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