Recensione: I capitoli dimenticati di Cervantes, di Juan Montalvo

Titolo:
I capitoli dimenticati di Cervantes
Autore: Juan Montalvo
Editore: Arkadia
Pagine: 450
Anno di pubblicazione: 2023
Prezzo copertina: 25,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Uno dei più grossi errori della scuola primaria e secondaria del nostro Paese, perpetrato con stolida pervicacia nell’ultimo secolo e mai emendato da nessun ministero dell’istruzione, è non dare adeguato spazio allo studio di “Don Chisciotte della Mancha”, il capolavoro di Miguel de Cervantes. Emblema della poca importanza che la letteratura spagnola ha dalle nostre parti, vista quasi come un esotismo rispetto ai cugini francesi e tedeschi che invece robustamente compariamo in tutti i cicli di studio, le avventura dell’hidalgo più celebre della carta stampata vengono al massimo recepite come uno splendido unicum di comicità e dramma storico ma difficile da recepire per un pubblico digiuno di cavalleria e matti erranti per le terre iberiche. 


Come se fosse un carattere marcatamente fin troppo spagnolo, “il cavaliere dalla triste figura” – il bellissimo pseudonimo con cui è conosciuto dopo una delle tante mazzate prese che gli lascia segni sul viso – invece gode in tutto il mondo di una fama immortale e tanti sono stati gli artisti, da Dalì a Picasso per citare i più celebri, che l’hanno messo al centro del proprio lavoro. Anche gli scrittori si sono spesso divertiti nell’immaginare altre peripezie di Don Chisciotte – a partire proprio dal primo, famoso e spudorato emulo Avellaneda, che costrinse Cervantes a ritornare sulla sua opera con una seconda parte che desse una degna fine al suo personaggio –, facilitati dalla natura picaresca dell’opera originale che ben si presta all’episodicità. Tra tutti questi seguaci dell’opera di Cervantes segnaliamo il bellissimo “I capitoli dimenticati di Cervantes”, di Juan Montalvo pubblicato da Arcadia nella collana Xaimaca e tradotto in maniera ottimale da Riccardo Ferrazzi e Marino Magliani che riescono ad ottimizzare la lettura della fluviale scrittura dell’autore ecuadoriano lasciando intatti, quando possibile, i continui giochi di parole basati su proverbi e allusioni. Ecco, bisogna proprio partire dallo stile di Montalvo per arrivare alla comprensione di un’operazione come questa, molto ottocentesca nella misura in cui si approccia al nume tutelare Miguel de Cervantes ma allo stesso tempo molto più moderna nel modo di intercettare con estrema sagacia e profondo studio gli stilemi dell’originale per piegarli alla propria poetica. Basti leggere l’enorme prologo La traccia – occupa ben 95 pagine sulle 439 di lettura! -, per rendersi conto di come l’autore voglia fare de I capitoli dimenticati di Cervantes senza ombra di dubbio il migliore seguito delle avventure del vecchio cavaliere grazie alla sua comprensione di Don Chisciotte, del contesto per cui è stato scritto e pensato, della sua ricezione e soprattutto della profonda moralità che lo contraddistingue. 


Ecco che in questa introduzione straordinaria, meritevole già essa di pubblicazione e di oggetto di studio, la “barbara” modestia di uno scrittore situato ai confini del mondo (quando ancora la letteratura sudamericana non era diventata un genere a sé stante buono da riempire l’omonimo scaffale di Feltrinelli e Mondadori) cerca di ottenere l’autorevolezza necessaria con questa prima parte che diventa subito un saggio pieno di barocchismi, riferimenti culturali alti, motivazioni ideologiche di limpido valore e demolizione dei propri passati rivali. La lunga cronistoria dell’impareggiabile lignaggio letterario del “Don Chisciotte della Mancha”, il suo inquadramento nelle arti europee e, per converso, il basso livello dei suoi emuli è il lasciapassare che con ammirevole foga Juan Montalvo si fabbrica per entrare, fosse anche solo per raggomitolarsi in un angolino dell’ingresso, nel maestoso palazzo verbale creato dal suo geniale maestro. Ma, per citare un autore la cui tempra d’uomo sicuramente sarebbe piaciuta all’autore ecuadoriano, fu vera gloria per il suo I capitoli dimenticati di Cervantes? Lo fu: nella pagine del libro torna con immutato affetto la figura del vegliardo attuatore dei dogmi di cavalleria, innamorato della sua impareggiabile Dulcinea del Toboso (in realtà un’umile contadina) e sempre alla ricerca di grandi gesta che possano conferirgli lo status eroico che gli spetta per merito. Torna anche il logorroico scudiero Sancho Panza, con la sua caterva di proverbi spagnoli incredibili per argutezza filosofica e popolana scaltrezza, torna (purtroppo un po’ meno) il fido Ronzinante, il cavallo che è forse il vero motore dell’incessante azione dell’originale, tornano le sonore legnate che Don Chisciotte riceve come pegno al fallimento di gran parte delle sue avventure. Si aggiungono fantasmi che non lo sono, donne liberate da mariti oppressivi, tornei di cavalleria dall’esito nefasto e perfino un falso Don Chisciotte che si scontrerà con quello vero in un duello chiaramente metaletterario ma di onesta inventiva. Miguel de Cervantes questi capitoli dimenticati li avrebbe sicuramente inseriti a ragione nel suo capolavoro.

Juan Montalvo è stata la personalità più singolare e attraente della storia letteraria ecuadoriana. Il suo nome acquistò prestigio internazionale dopo la metà del XIX secolo, a partire dalla comparsa della sua prima opera, El Cosmopolita. Avversario di qualsiasi tipo di dittatura, si dedicò allo studio della Grammatica latina, della Filosofia e del Diritto. Ammiratore di Socrate, Giulio Cesare, Cicerone, Miguel de Cervantes, Michel de Montaigne, Montesquieu e Lord Byron, acquisì in modo autodidatta la conoscenza della grammatica spagnola e s’interessò di storia, letteratura e filosofia greca. Viaggiò a lungo e visitò, tra gli altri, Francia, Italia, Spagna, Panama e Perù. Fece esperienza come collaboratore della rivista “El Iris”, come redattore di “El Cosmopolita” e creatore di opere come El bárbaro de América en los pueblos civilizados de Europa, El libro de las pasiones, De las virtudes y los vicios, El último de los tiranos, El Regenerador ed El Espectador. Morì di pleurite il 17 gennaio 1889 a Parigi. Il 12 luglio dello stesso anno il suo corpo fu rimpatriato ad Ambato, sua città natale, dove fu imbalsamato e sepolto.

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