Recensione: Hayao Miyazaki. L'artigiano dell'animazione giapponese, di Stéphanie Chaptal

Titolo:
Hayao Miyazaki. L'artigiano dell'animazione giapponese
Autore: Stéphanie Chaptal 
Editore: Kappalab
Pagine: 160
Anno di pubblicazione: 2023
Prezzo copertina: 16,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Tra gli incassi stratosferici del film Barbie, apologia Mattel del proprio prodotto di punta screziato di femminismo industriale, e il nolaniano Oppenheimer, riflessione apodittica e stranamente poco apocalittica sullo scienziato che guidò i suoi colleghi all’invenzione della bomba atomica, quest’estate nelle sale italiane c’è stato spazio anche per l’ennesimo ciclo dedicato ad Hayao Miyazaki. Il successo di quest’iniziativa che ha accompagnato vecchie e nuove generazioni di spettatori ad un ripasso della filmografia del regista giapponese, anche in previsione del suo ultimo “Il ragazzo e l’airone” che Lucky Red ha recentemente annunciato porterà nel nostro Paese il primo Gennaio, è il segnale di un culto che non accenna a diminuire e che anzi trova sempre nuovi adepti. 


Molti sono i libri dedicati al creatore più celebre dello Studio Ghibli ma tra questi emerge per affabilità espositiva, completezza dell’apparato iconografico e sviluppo dei contenuti, l’appassionato e appassionante “Hayao Miyazaki – L’artigiano dell’animazione giapponese”, di Stéphanie Chaptal pubblicato dalla sempre benemerita Kappalab, casa editrice che da anni è ai vertici delle pubblicazioni dedicate a tutto ciò che arriva dal Sol Levante. Il lavoro della scrittrice francese, cosa rara per un’opera del genere, ha innanzitutto tutti i pregi dei tomi di divulgazione senza scadere in nessuno dei suoi difetti: la chiarezza del discorso non comporta mai cadute nella semplicioneria, così che il racconto della vita, delle opere e delle fonti d’ispirazione di Miyazaki riesce ad avvincere sia i neofiti che i conoscitori dell’arte del maestro giapponese. Pur muovendosi in schemi consolidati – le singole schede informative sui film, lo spazio dedicato alla biografia, le interviste a collaboratori ed esperti tra cui una sfiziosa anche a Neil Gaiman! – e dentro un’ormai enciclopedica bibliografia, “Hayao Miyazaki – L’artigiano dell’animazione giapponese” non esaurisce mai le piccole grandi curiosità sulla leggendaria carriera di Miyazaki. Ecco allora che, ad esempio, il ripescaggio dei suoi primi corti come “La grande avventura del piccolo principe Valiant” e “Panda! Go, Panda” serve all’autrice per chiarire come questi lavori delineino i temi che il cineasta tratterà nel corso della sua carriera. Tra questi, Stéphanie Chaptal amplia quello della nota passione aeronautica di Miyazaki che nel capitolo “L’aviazione tra attrazione e repulsione” viene puntualmente esaminato con un’ottima panoramica storica sia dei velivoli reali che hanno fatto da modello a quelli animati (il famoso aliante di Nausicaä e l’idrovolante rosso di Marco Pagot sono i più celebri) sia dei famosi piloti che hanno ispirato personaggi e situazioni dei vari lungometraggi. Ma altrettanto documentato è anche il capitolo “Dalla Toei alla creazione dello Studio Ghibli” che segue il percorso artistico di Miyazaki sin dagli esordi nel più celebre studio d’animazione giapponese e poi lo/ci accompagna fino alla doverosa emancipazione compiuta insieme all’amico-rivale Isao Takahata con cui fonda appunto lo Studio Ghibli per dare forma alle proprie visioni senza le catene produttive e i famigerati tempi imposti dalle altre realtà. 


Molto valida anche la contrapposizione fatta nelle due principali sezioni del libro tra “Un immaginario che guarda all’Occidente” in cui vengono sviscerati le tanti fonti artistiche europee e statunitensi a cui Miyazaki si è sempre ispirato – Paul Grimault, Moebius, Gianni Caproni, Antoine de Saint-Exupery, Ursula K. Le Guin etc.- e “Il Giappone sullo sfondo” in cui si ribadisce l’importanza del proprio Paese d’origine nella propria poetica dato che “Hayao Miyazaki lo ripete continuamente nelle interviste: lui ha fatto film giapponesi per un pubblico giapponese”. Sebbene sia vicino così tanto al canone occidentale, il sensei dell’animazione infatti non arriva mai ad essere un alloglotta perché costringe quasi gli spettatori a venirlo a trovare nel suo mondo e in un arcaico e fantastico Sol Levante. Ecco allora che con molto coraggio ed onestà Stéphanie Chaptal ridimensiona anche il femminismo delle sue opere nel capitolo “Una certa visione del femminismo” tracciando i limiti di una visione che pur con ampi sprazzi di libertà di genere rimane viziata da un certo paternalismo giapponese (la scelta imposta alla moglie di rinunciare a una promettente carriera d’animatrice, il difficile rapporto col figlio Goro a cui non ha mai concesso l’eredità artistica). Altrettanta libertà d’interpretazione critica si trova in “Due chiacchiere con Alexis Hunot”, professore di storia del cinema d’animazione e direttore artistico di un festival di genere che offre un punto di vista alternativo, più da addetto ai lavori che da semplice appassionato, sulla ridondanza fornita dal grande pubblico al regista giapponese tanto da fargli dire che “Miyazaki è stato l’albero che ha fatto perdere di vista la foresta”. Una foresta in ogni caso che rimane fortunatamente folta per chi sa addentrarsi nei suoi meandri, come dimostra “Gli eredi di Hayao Miyazaki” che fa una veloce ma azzeccata scorsa sui registi d’animazione che si sono ispirati al suo lavoro. Hayao Miyazaki – L’artigiano dell’animazione giapponese col suo equilibrato mix tra divulgazione ed approfondimento è un testo consigliato a chiunque voglia conoscere uno dei più importanti esponenti del cinema contemporaneo.

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