Recensione: Quando eravamo sorelle, di Fatimah Asghar

Titolo:
Quando eravamo sorelle
Autore: Fatimah Asghar
Editore: 66thand2nt
Pagine: 336
Anno di pubblicazione: 2023
Prezzo copertina: 18,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Sorellanza non è e non dovrebbe essere una parola-contenitore in cui far confluire alla carlona concetti ed azioni che solo lontanamente hanno un'attinenza con la solidarietà tra donne. Sorellanza non è esclusivamente la parentela tra consanguinee cresciute insieme tra mille differenze o altrettanti agi. Sorellanza è infatti uno dei concetti più belli che sono apparsi con forza nel dibattito pubblico degli ultimi decenni e che merita un approccio scevro da ideologie del secolo scorso a favore di collegamenti ipertestuali con la complessità del presente. 


Una delle pagine più belle che la letteratura ha prodotto sul tema si trova, a nostro avviso, in "Quando eravamo sorelle", di Fatimah Asghar edito da 66Thand2nd con la traduzione di Federica Principi. Ci voleva l'energia di un'esordiente sulla carta stampata della Generazione Z per mettere a fuoco, con tutto il suo carico di fragilità ed insicurezze, la portata rivoluzionaria che la sorellanza ha anche nelle piccole storie personali di ragazze cresciute all’ombra delle frammentazioni di inizio millennio. Poetessa, attivista, attrice e sceneggiatrice di una serie tv e di una puntata della serie Disney Ms. Marvel, la giovane musulmana Fatimah Asghar – che sul suo account Instagram si firma con il non-binario they/them – in questo romanzo racconta una vicenda finzionale basata però sulle sue autobiografiche esperienze di vita. Quando eravamo sorelle ci presenta Noreen, Aisha e Kausar, tre bambine di origine pakistana che vivono negli Stati Uniti, alle prese col lutto che cambierà le loro giovani esistenze. Già orfane di madre, perdono infatti il padre, assassinato in maniera misteriosa mentre torna a casa dal lavoro. Vengono così adottate dallo zio, il cui nome ad ogni occorrenza viene tagliato con un frego nero, che affitta loro un appartamento lontano dalla sua famiglia soltanto per intascarsi i lauti assegni mensili che lo stato gli versa come forma di welfare per l’accudimento. L’autrice nelle oltre trecento pagine del romanzo racconta allora alcuni momenti significativi della giovinezza di queste tre sorelle che, pur facendo i conti con la solitudine, la mancanza di affetto e le difficoltà d’integrazione, riusciranno ad avere un’esistenza non priva di momenti di abbagliante tenerezza e dolcissima poesia.


Quando eravamo sorelle ha l’andamento lineare del racconto di formazione ma per evitare di cadere nelle trappole stilistiche del genere (rigidità della struttura, eccessi melodrammatici, moralismo) sceglie di abbandonarsi al flusso di coscienza della più piccola delle tre, Kausar. È attraverso i suoi ingenui occhi che vediamo le cadute e le improvvise accensioni di speranza – straordinaria la descrizione del rapporto familiare che si viene a creare tra le tre orfane e i gentili vicini Meemoo e Zietta – che come in un pendolo rappresentano gli estremi della loro problematica abitazione nell’appartamento “zoo”. Ecco che la rinuncia alla narrazione abituale a favore di brevi capitoli senza dialoghi dà così luogo a scelte tipografiche coraggiose ed efficaci, come la pagina con gli spazi vuoti al posto delle banali convenzioni dei parenti al funerale del padre o le raccolte in versi dei radi passaggi d’amore dei genitori morti. Se la forma riesce a tener conto in maniera fresca ed originale della solidissima evemenzialità di questa sorellanza sia familiare che concettuale è la sostanza degli eventi che fanno di questo romanzo d’esordio una delle sorprese editoriali più incredibili degli ultimi anni. Non tanto per la fattura drammatica degli eventi narrati quanto per la sensibile empatia con cui Fatimah Asghar riesce a portarli su carta. La scelta di procedere per brevi sprazzi e di alternare sia prosa che poesia senza stacchi netti dona alla sua scrittura una levità in grado di colpire forte quando c’è la necessità e di volare altissimo quando serve. Le invocazioni alla luna, le serate passate sulla scala anti-incendio, il primo rapporto sessuale di Kausar solo solo alcune delle mille scene colme di grazia che il romanzo possiede. E allora non resta che abbandonarsi alla folgore del nuovo concetto di maternità, meno sacro ma sicuramente più in linea coi tempi: “Quel che nessuno capirà mai è che il mondo appartiene agli orfani, tutto diventa nostra madre. Ogni cosa ci fa da madre perché noi sappiamo andare in cerca del materno, perché sappiamo che una madre può lasciarci e allora avremo bisogno che ne arrivi un’altra a sostituirla”.

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