Recensione: Una volta sola nella vita, di Tom Hanlin

Titolo:
Una sola volta nella vita
Autore: Tom Hanlin 
Editore: Graphe.it
Pagine: 166
Anno di pubblicazione: 2024
Prezzo copertina: 15,90 €

Recensione a cura di Mario Turco

Senza voler appoggiare una visione marxista di uno dei sentimenti più alati del bipede razionale, chiunque abbia vissuto qualche situazione d'amore sa quanto l'unione col proprio partner sia legata in maniera indissolubile alla disponibilità economica dei due partecipanti della coppia. Adesso che anche la retriva Italia delle belle lettere ha il suo festival di letteratura working class - pensato e portato avanti in maniera indefessa dal sempre lucidissimo Alberto Prunetti - si può cominciare finalmente ad analizzare le opere che appartengono a questo filone inquadrandole meglio ed inserendole all'interno di un discorso che oltreoceano già da tempo ha raggiunto vertici teorici ed esiti pratici altissimi. 


È il caso, ad esempio, di "Una volta sola nella vita", di Tom Hanlin pubblicato da Graphe con traduzione di Giorgio Manganelli e a cura di Niccolò Brunelli. Portato in Italia originariamente da Mondadori nel 1947 secondo i tipi della celebre Viking Press e passati quindi i 70 anni canonici dalla caduta del copyright, ecco che questa nuova (giustamente) glabra edizione ha quindi il merito di portare all'attenzione uno dei testi forse più emblematici della letteratura working class che meriterebbe, a nostro avviso, di essere studiato proprio per la sua esemplarità. Narrato in prima persona dal suo protagonista subproletario, Una volta sola nella vita dichiara in maniera netta la sua poetica sin dal secondo dei piccoli capitoli in cui è suddiviso: "E se voi vi sentite tanto superiori da non riuscire a interessarvi di minatori e di serve, smettete di leggere. D'ora in poi, io mi rivolgo ai minatori ed alle serve di tutto il mondo. Questa storia è per voi, scritta nella vostra lingua, e quel che vi accade, accade a voi tutti i giorni. Nessuno, prima, ha mai scritto in questo modo". La trama del libro è piuttosto semplice ed ha un andamento cronologico, fatta salva l’analessi iniziale, lineare: Frank Stewart è un minatore di Beechrig, piccolo conglomerato scozzese di case nato attorno a un insediamento minerario, a cui viene dato l'ingrato compito di informare Jenny Dewar della morte del marito Bill Morton, avvenuta durante uno dei tanti incidenti occorsi nello scavo. Il destino, specie in un posto così piccolo, è malignamente beffardo: il latore di morte e la vedova da ragazzi hanno infatti avuto una storia d'amore come capita "una volta sola nella vita". Sarà proprio Frank a ripercorrere in quello che è un flashback lungo tutto il libro - "io non conosco tutti quei trucchi per scrivere, e così mi limito a raccontare le cose come sono avvenute" - il travagliato rapporto tra il protagonista e quella che sembrava la sua futura sposa. 


Una volta sola nella vita ha quindi la rudezza stilistica che ci si aspetterebbe da uno scrittore che vuol trasporre su carta i sentimenti e i problemi che un minatore del dopoguerra si aspettava nel corso di un'esistenza segnata dalla sua condizione economica. Il romanzo racconta senza infingimenti né abbellimenti le comuni vicende e le altrettanto banali personalità dei suoi personaggi, partendo dal primo bacio tra Jenny e Frank avvenuto a quattordici anni a scuola, passando per il fidanzamento formale (ma mai effettivo, cosa piuttosto frequente in posti così piccoli dove non c'è bisogno di esplicitare formalmente una simpatia pubblica) e, soprattutto, la rottura di questo rapporto giovanile avvenuto per cause esterne. Proprio il trauma della fine della storia rappresenta l’inizio della più bella fase di questo breve libro: il girovagare di Frank tra lavoretti saltuari, sussidi, truffe e forzosi ritorni nel sottosuolo così foriero di morte sono raccontati con l’aderente somiglianza di chi si è perso per anni in quei meandri (Hamlin fu un minatore prima di raggiungere la solidità economica col proprio lavoro editoriale). La povertà economica di Frank lo rende un fallito anche dal punto di vista amoroso: la sua perdita di interesse verso la bellissima Jenny e il suo scivolamento verso l’ossuta e poco avvenente Harriet McDonald sono infatti in gran parte ascrivibili alla mancanza di stabilità e prospettiva che comporta lo scavo del carbone. Non che Una volta sola nella vita sia, da questo punto di vista, ambientalmente deterministico ma la scabra sincerità di Frank, che tende (e noi lettori con lui) a non farsi sconti dal punto di vista personale è in un certo qual modo bilanciata proprio dalla durezza di un’epoca e di un luogo che traspaiono continuamente dalle pagine. E lo straordinario finale in cui il protagonista piange la giovinezza della sua Jenny che, come quella di tutti i poveri, dura appena un soffio per diventare presto polvere, funziona meglio di un qualunque tratto sociologico e serve come un monito anche oggi per ricordare alla classe politica che lavoro precario vuol dire amore precario.

Tom Hanlin (28 agosto 1907-7 aprile 1953) a quattordici anni abbandonò gli studi e iniziò a lavorare prima in una fattoria e poi in miniera, dove rimase per i successivi venti anni. Al lavoro affiancò lo studio in una scuola di giornalismo di Glasgow. A seguito di un incidente in miniera nel 1945 trascorse tre mesi a riposo e cominciò a scrivere storie e a venderle, realizzando il suo sogno di bambino. Morì per problemi cardiaci e respiratori. Nel corso della sua vita, Hanlin scrisse oltre trenta racconti, diversi romanzi, saggi e radiodrammi. Una volta sola nella vita è stato il suo romanzo più noto: vendette oltre 250mila copie nel Regno Unito nelle prime tre settimane di pubblicazione, venne tradotto in una dozzina di lingue e vinse alcuni premi. Venne anche pubblicato a puntate su Woman's Home Companion ed ebbe una riduzione radiofonica a cura della BBC Radio.

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