Recensione: Resta solo il fuoco, di Micheliny Verunschk

Titolo
: Resta solo il fuoco
Autore: Micheliny Verunschk, Dea Merlini (traduttore)
Editore: 66thand2nd
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2024
Prezzo copertina: 16,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Il fuoco riveste nella storia dell'uomo un ruolo che ne ha segnato in maniera decisiva l'evoluzione. Una funzione che con la nascita delle religioni è stata ulteriormente espansa facendo delle fiamme il simbolo chiave dei propri codici pressoché a tutte le latitudini del mondo. Dai fuochi sacri nei templi alla cremazione dei cadaveri, dai processi alchemici fino ai roghi sacrificali, il fuoco nelle credenze soprannaturali viene usato da tempo immemore sia per purificare che per distruggere. 


Tra i tanti miti che tracciano un rapporto tra déi e fiamme, si può, ad esempio ricordare come per mondare i propri peccati - un rapporto incestuoso con la sorella – Quetzalcoat, uno dei più importanti della mitologia azteca, scelse di farsi volontariamente ardere su una pira funeraria. Nella religione cristiana, in maniera molto più macabra, i roghi non sono una scelta volontaria di pentimento ma una punizione inferta dalle istituzioni per i peccati dei propri credenti e non. Ed è proprio con uno dei sacrifici umani più violenti e crudeli delle funeste tradizioni religiose che si apre il romanzo breve "Resta solo il fuoco", di Micheliny Verunschk pubblicato da 66thand2nd nella collana Bazar con la traduzione di Dea Merlini. Prima di analizzare brevemente il romanzo una piccola nota proprio sulla traduzione che si fa prendere un po' la mano nel rendere la solitamente magniloquente lingua della letteratura sudamericana e di genere - l'autrice è una delle più importanti scrittrici brasiliane: se è apprezzabile la scelta di lasciare i nomi originali della lussureggiante vegetazione che fa da sfondo alla vicenda, un po' forzata appare invece l'ampollosa costruzione delle frasi e la scelta di alcuni termini (siamo curiosi di sapere quale fosse l'equivalente del "fibonacciano" proposto). Resta solo il fuoco è un romanzo moderno che sfrutta alcuni degli stilemi più famosi di quest'epoca frammentata - la disgregazione della vicenda in un coro polifonico che rende la varietà dei diversi punti di vista dei protagonisti coinvolti - per denunciare una delle sopraffazione più antiche: la violenza di genere veicolata attraverso il fanatismo religioso. Ridotto all'osso, il rogo di Celeste da parte della sua famiglia per la sua condotta di vita, impossibile da accettare per una piccola comunità rurale del Brasile resa ulteriormente oltranzista dalla predicazione della Congregazione, è infatti solo l'ultimo dei casi di cronaca nera che continuano a tingere di sangue la vita di uno Stato ancora oppresso da queste sacche di violenza tribale. "Non abbiamo fatto quello che abbiamo fatto per ammazzare la ragazza. Nossignore. Era solo per liberarla da quell'ossessione. Ossessione di perturbare, di disprezzare la religione e il buoncostume. Non era lei. Era lo spirito di una strega", dice infatti, con disarmante sincerità, Lourença all'ispettore che la interroga. 


Ambientando la storia tra l'isolata "gente della macchia" della comunità di Tapuio, Micheliny Verunschk cerca di mostrare come la colpa di questo indicibile orrore abbia radici profonde che attengono sia alla mancanza di scrupoli delle potentissime sette evangeliche che operano nell'immenso stato sudamericano ma che sono anche riscontrabili nel patrimonio genetico di una società che si ostina a non fare i conti con la violenza patriarcale. Con una svolta improvvisa a quasi metà delle 130 pagine di cui è composto, Resta solo il fuoco infatti fa raccontare all'esperta forense chiamata ad indagare sul rogo di Celeste l'analoga vicenda di due ragazzine, abbandonate sul ciglio della strada dopo essere state stuprate e uccise. Così in un lungo elenco che cita alcune delle vittime, mitiche e reali, che (probabilmente, non abbiamo avuto modo di verificare NdA) hanno marchiato a fuoco anche la recente vita pubblica del Paese, l’autrice porta alla luce le inestricabili e per nulla misteriose connessioni che legano tutte queste morti: “Tra le tante donne cadute riconobbe alcune delle sorelle: Eufemia, fatta a pezzi da grossi artigli; Liberata, crocifissa; Vittoria, trafitta dalle frecce: Ginevra, con un pugnale nel cuore; Marciana sulla ruota armata di lame; Germana sulla graticola; Basilia, trafitta da corna. E vide anche tutte le altre. Alcune sue compagne d’infanzia, ma per la sconosciute […] Severine, Anne, Grazie, Lorraine, Fabiane, Eduarde, Tarsile, Aide, Elise ed Elize, Daniele, Araceli, Veroniche”. Il maggior difetto di Resta solo il fuoco è però di rimanere sospeso tra questa dimensione esplicitamente di denuncia – la sottotrama della pervicace influenza della Congregazione sugli incolti abitanti – ed una più empatica verso gli stessi carnefici – la terribile perdita della piccola Quiterinha sbranata da un maiale – che fanno a pugni tra loro e non consentono di andare oltre un pietismo poetico solo ammantato di prudente femminismo.

Micheliny Verunschk (Recife, 1972) è una delle maggiori scrittrici brasiliane contemporanee. Ha pubblicato opere di narrativa e di poesia. Con il suo quinto romanzo, O Som do Rugido da Onça, nel 2022 ha vinto il più importante riconoscimento letterario brasiliano, il premio Jabuti. Resta solo il fuoco è il suo libro più recente.

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