Recensione: Harpo Speaks!, di Harpo Marx e Rowland Barber

Titolo:
Harbo Speaks!
Autore: Harpo Marx, Rowland Barber
Editore: Erga
Pagine: 350
Anno di pubblicazione: 2024
Prezzo copertina: 16,90 €

Recensione a cura di Mario Turco

Delle migliaia di biografie e autobiografie, autorizzate o meno, incentrate su uomini e donne di cinema, "Harpo speaks!", di Harpo Marx e Rowland Barber pubblicato da Erga con la traduzione di Martina Biscarini rappresenta indubbiamente uno dei vertici. Il principale motivo di questa elevato posizionamento in un sottogenere sicuramente interessante ma spesso asfittico risiede nella monumentale sequela di fatti e storie che inanella durante le sue 350 pagine - vergate in caratteri così piccoli che metteranno a dura prova i vostri occhi: capiamo la necessità di economizzare sul numero di fogli ma così si limita la lettura soltanto a condizioni ottimali - che ne fanno un esemplare compendio delle diverse direttrici che può avere il resoconto personale di una vita di successo. 


Harpo speaks!, infatti, sin dal riuscito titolo che ammicca al fatto che finalmente il fratello muto dei geniali Marx dirà la sua sugli incredibili eventi che hanno costellato la sua felice esistenza, da una parte racconta con piglio dickensiano la sua povera infanzia e la difficile gavetta nel vaudeville, mentre dall'altra, dopo aver raggiunto l'apice artistico, una carriera fatta di incontri con personaggi altrettanto illustri, tour che aprono ponti politici in maniera più performante di qualche viaggio diplomatico e perfino tavole rotonde con i maggiori intellettuali dell'epoca. Come sottolinea con grande giustezza Maurizio Nichetti nella sua prefazione, "Harpo speaks! Harpo parla, o meglio scrive, non solo e non tanto per raccontare l'incredibile storia artistica sua e dei suoi fratelli, ma soprattutto per raccontare dei suoi innumerevoli amici. Quei compagni di viaggio coi quali ha trascorso la sua vita tra giochi d'azzardo e scherzi perenni. È un'autobiografia che "ospita" vite di altri, quasi le considerasse più importanti della sua". Nella prima parte del libro Barber asseconda difatti il fluviale fiume di coscienza di Harpo Marx badando più che a gettare le basi della futura mitologia - con grande sincerità la scelta di suonare l'arpa viene addossata alla madre Minnie con la semplice motivazione che lo strumento dava un tocco di classe al numero dei principianti fratelli – a fornire il gigantesco quadro d’epoca in cui il giovane Adolph Arthur (sì, per chi ancora non ne sapessi i dettagli, Harpo svela la genesi dei nomi d’arte dei fratelli) muove i suoi primi passi nel complicato mondo degli spettacoli popolari. Correndo in parallelo tra le avventure da strada dello scapestrato figlio di emigrati e la volontà imprenditoriale/affettiva della madre imprenditrice di far emancipare la sua numerosa prole dalle difficoltà che una famiglia ebrea scontava nella New York di fine Ottocento ed inizio Novecento, il libro trova una serie fulminante di persone e situazioni gustose, descritte con particolari vividissimi e un’estetica da romanzo sociale. 


Dal nonno che parlava solo tedesco e con un passato da mago illusionista che fornirà al nipote i primi rudimenti del varietà, al padre che mancava nel talento sartoriale ma era in prima fila ad aizzare la claque quando i suoi figli cominciarono ad esibirsi, dal negoziante a cui il discolo Adolphe rubò le smorfie dei vari “Gookie” che caratterizzarono la sua futura carriera, al fedifrago compagno di lavoro che lasciava il giovane collega negli hotel per fornirsi un alibi di rispettabilità mentre era affaccendato in loschi affari, Harpo speaks! è una splendida giostra nella quale è impossibile non divertirsi. Precisa ma senza trionfalismi nella delineazione dell’inarrestabile fortuna che arrise ai fratelli Marx, l’autobiografia pur perdendo un po’ della sua picaresca simpatia riesce ad essere interessante anche nella fase adulta del suo protagonista. Con la stessa rutilante foga del ragazzo che non ha mai smesso di essere, Harpo qui delinea con grande sentimento l’amicizia più importante della sua vita, ovvero quella col critico, scrittore e giornalista Alexander Woolcott. I battibecchi tra l’incolto ma geniale comico e uno degli uomini di cultura più importanti negli Stati Uniti del primo Novecento, puntellano gli anni più fecondi di Harpo che, diventato ricco e famoso, continua a giocare d’azzardo, girare seminudo negli amati campi da golf ed, infine, rinunciare ad essere lo scapolo più impenitente di Hollywood giungendo a sposarsi e adottare quattro figli. E anche se nel finale Harpo continua a parlarci con minore vigore – la storia d’amore con Susan e il rapporto con i figli ha purtroppo un mordente solo senile -, la voce di questo muto saltimbanco cinematografico è una delle più appassionanti della Settima Arte.

Martina Biscarini è nata a Empoli nel 1985 e vive a Bologna. Si è laureata nel 2009 in DAMS a indirizzo cinema con una tesi sull’autoimmagine di Harpo Marx nell’autobiografia Harpo Speaks e nel 2016 in Letterature e Lingue Moderne e Classiche all’Università di Ferrara. Ha conseguito nel gennaio 2012 un MA in videomaking alla Kingston University (Surrey). Ha già pubblicato il saggio Il Cinema è L’Arma Più Forte a proposito di genesi, sviluppo e caduta del cinema durante il fascismo.

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