La recensione de "Il piacere dell'onestà" di Luigi Pirandello, regia di Liliana Cavani, con Geppy Gleijeses e Vanessa Gravina, al Teatro Quirino fino al 22 aprile

Recensione a cura di Mario Turco

Nella Roma più barocca e classicheggiante, attraversata da una fiumana di turisti contenti di spendere i loro soldi in valute straniere coloratissime per acquistare paccottiglia inerente la fontana più grande della città, il teatro Quirino conclude degnamente la sua stagione con la rappresentazione de “Il piacere dell’onestà”, tratto da un dramma di Luigi Pirandello e in scena fino al 22 Aprile. Con la regia di Liliana Cavani che nella sua onorata carriera fa da sempre felicemente la spola tra teatro e cinema, il testo del premio Nobel siciliano continua a frustare le coscienze col suo messaggio irriverente. Angelo Baldovino, protagonista dell’opera, accetta la proposta di sposare per procura Agata Renni, ingravidata dal già sposato marchese Fabio Colli. Per evitare lo scandalo egli dovrà essere soltanto in apparenza suo marito così da consentire ai due amanti la pace sociale e quella amorosa. Soltanto che un uomo fino a quel momento caduto moralmente più volte e con fragore sceglie in quell’occasione di essere onesto fino in fondo dimostrando la schizofrenia di una rete sociale poggiata solo su apparenze e convenzioni. 

La versione che va in scena al teatro Quirino estremizza ancor di più la scrittura pirandelliana trasformando i tre atti originari in cui il breve testo era suddiviso in un unico blocco compatto. Così facendo l’azione del dramma acquisisce ulteriore agilità mentre la parte “pensante” viene forse un po’ penalizzata da questa scelta. “Il piacere dell’onestà” è infatti un’opera del Pirandello più intellettuale che si situa a metà tra il periodo cosiddetto romano, che scandaglia con corrosività le ipocrisie della classe borghese, e quello siciliano, dove il grottesco diventa unica lente ontologica per studiare le assurdità della vita. Per godere appieno di una filosofia che un critico, bontà sua, ebbe l’ardire di definire schematica a fronte di un’invenzione artistica invece lussureggiante, bisogna già conoscere il testo originale di partenza o essere almeno a una seconda revisione critica. Per i neofiti la versione della Cavani rischia infatti di lasciar perdere qualcosa dell’originaria ricchezza del testo. Avventurandoci in ipotesi di studio potremmo avere l’ardire di credere che la stessa regista era conscia del rischio fin dalla sua ideazione considerato che, d’altra parte, sottomette il testo a un minimalismo scenografico e musicale che non distolgano l’attenzione dalla complessità della scrittura. L’unico vezzo di respiro brechtiano, quasi un’escursione provocatoria nel teatro epico, consiste nel far attuare agli stessi attori i tre cambi di scenografia mettendoli a spostare in penombra gli arredi di scena. 

Tornando al lato più propriamente critico della versione che andrà ancora in scena per due settimane possiamo notare come sia importante l’amalgama della compagnia attoriale ma soprattutto la carismatica figura dell’unico portatore sano delle teorie pirandelliane, proprio quell’Angelo Baldovino interpretato da Geppy Gleijeses. Il direttore del Teatro Quirino scavalla l’evidente disparità anagrafica tra lui, il marchese, e la moglie pur di regalare un’indolenza malinconica, vissuta, al protagonista dell’opera pirandelliana. I suoi monologhi sulla maschera che indossiamo nei nostri rapporti umani o sulle conseguenze negative di una sincerità elevata a sistema sono infatti recitati con la sofferenza partecipe di chi sa davvero che uccidere “la bestia” dentro di sé è atto quantomai inesigibile e che nessuna partecipazione alla danza sociale potrà attuare fino in fondo. “Il piacere dell’onestà” è allora un’esperienza che si può provare solo singolarmente perché se attuata con convinzione essa diventa portatrice di nefaste conseguenze. Un cul-de-sac filosofico a cui il Teatro Quirino mette di fronte con questa riuscita versione.

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